L’UOMO È PARTE DELLA NATURA

L’UOMO È PARTE DELLA NATURA

Spiritualità e corpo

Da sempre l’Uomo si è sentito legato alla Natura, spesso identificata con l’espressone ‘Madre Terra’, e, sin dall’antichità, ha rinsaldato questo legame sacralizzandola e popolando boschi, fiumi, mari e prati di divinità da adorare e rispettare.

Che si tratti degli orisha Yoruba Aja (patrona della foresta, degli animali al suo interno e dei guaritori di erbe), Oshosi (patrono della foresta e della caccia), Osanyin (patrono della foresta, delle erbe e della guarigione), delle divinità egiziane Cenere (Dio dell’oasi e dei vigneti del Delta del Nilo occidentale) e Geb (Dio della Terra), della dea madre azteca Tonantzin o della dea inca Pachamama (Dea della fertilità che presiede alla semina, alla raccolta e ai terremoti) o la dea Athabaskan Asintmah (Dea della terra e della natura, e la prima donna a camminare sulla terra) o della dea cinese Hou Tu Niang Niang (Madre Terra e Sovrana di tutti i Tu Di Gong) o di uno dei Tu Di Gong (Divinità della Terra di una località specifica e delle comunità umane vicine) suoi sudditi, non vi è Paese al mondo che non abbia adorato e pregato la Natura. Persino i feroci guerrieri vichinghi adoravano Sif, dea della terra, della fertilità e del raccolto, mentre i rudi legionari romani si affidavano a Terra, dea primordiale che personifica la terra, l’equivalente della greca Gaia, o a Cerere, dea della crescita delle piante e delle relazioni materne.

Nella Bibbia è scritto: «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”», dove ‘dominare’ non significa soltanto ‘esercitare potere’, ma anche avere cura, custodire essere responsabile.
L’avvento del Cristianesimo non ha cambiato le cose, tanto che San Francesco scrisse, nel suo celebre Cantico delle creature, «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba», mentre San Bernardo scrisse «troverai più nei boschi che nei libri: gli alberi, le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà».

Cosa è accaduto poi?
Perché l’uomo si è così allontanato dalla natura da sentirsi libero di distruggere e far violenza all’ambiente in cui vive?

Nell’Enciclica ‘Laudato si’’ di Papa Francesco è scritto che «La terra è ferita, serve una conversione ecologica».

I filosofi più nichilisti, tra i quali Nietzsche, riportano la sdivinizzazione della natura alla negazione di «ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza». Ciò implica, conseguentemente, riconoscere nell’Uomo un essere naturale («Il mio compito: la disumanizzazione della natura e poi la naturalizzazione dell’uomo, una volta che egli sia giunto al puro concetto di ‘natura’»); è il capitalismo che ha bisogno di liberare prati e foreste da fate, ninfe e gnomi per poterli sfruttare.

Avvicinandosi ai miti della modernità, l’Uomo si è sempre di più allontanato dalla natura, dalle sue leggi e dai suoi equilibri, tanto che Papa Francesco scrive: «Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e “li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione”. La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. […] Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio».

L’Uomo è parte della Natura.
Ne è davvero il dominus.
Ma questo significa che ne è responsabile, che ha il preciso dovere di proteggerla, amarla e preservala, senza limitarsi al un cieco sfruttamento: solo se tornerà a capire che si può pensare di vivere solo come parte della Natura, l’umanità potrà progredire. Diversamente, l’avidità spingerà a distruggere, bruciare ogni risorsa, all’inseguimento di una ricchezza che non porta vera felicità.

«A cosa serve avere uno yatch da 25 metri se poi navighiamo in un mare di plastica?».

San Francesco chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le ammirassero potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza.
Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso da contemplare nella letizia e nella lode.



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