MI approva il nuovo limite temporale alle intercettazioni
Il 2024 si rivela un anno caldo per la giustizia.
In questi giorni arriva un nuovo segnale riformista. Il Senato approva il disegno di legge Zanettin sul limite alle intercettazioni, che aggiunge all’art. 267, comma 3, c.p.p. il seguente periodo: ”Le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione”.
Una indiscutibile novità.
Già nell’estate del 2023 un altro pacchetto di significative modifiche era stato approvato nell’esecuzione di un progetto più ampio che si è evoluto per step: innanzitutto è stata prevista l’estensione dei più flessibili requisiti degli ascolti per mafia alle indagini sui reati posti in essere con metodo mafioso, con un rafforzamento delle motivazioni nelle autorizzazioni all’utilizzo dei trojan, ripristinando la vecchia e più restrittiva disciplina dell’utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi, obbligando il p.m. a una puntuale rendicontazione dei costi delle operazioni, e, ancora, è stata inibita la captazione delle conversazioni con il difensore e ripensata la disciplina del sequestro di smartphone e pc.
La riforma di oggi, invece, incide direttamente sulla durata delle intercettazioni, introducendo un limite complessivo di 45 giorni per le operazioni captative, con possibilità di proroga solo se strettamente necessaria e supportata da una motivazione espressa basata su elementi specifici e concreti.
In sostanza, la possibilità di proroga interviene solo in caso di assoluta indispensabilità, giustificata dall’emergere di elementi ulteriori di cui il p.m. deve dare conto nella richiesta. Chiaramente, per i reati di mafia e terrorismo gli standard probatori per autorizzare le intercettazioni sono già più bassi rispetto ad altre fattispecie, con indizi che possono essere “insufficienti” e una soglia di “necessità” invece di “indispensabilità”; tuttavia quello che la riforma vuole arginare è l’abuso di uno strumento investigativo che certamente in alcuni casi si rivela essere la prova regina, in altri invece è un’incursione vera e propria nella vita privata del cittadino, da taluni definita addirittura un assalto alla stessa democrazia.
Il tema è delicato; e non si può ignorare che lo strumento probatorio è stato oggettivamente occasione di abuso e sconfinamento dei poteri di alcune procure.
È vero che i reati-spia (ovvero quei reati che di per sé non richiedono un intervento captativo ma che, in presenza di determinate circostanze di tempo e di luogo o per le caratteristiche peculiari dei soggetti che coinvolgono) potrebbero condurre all’accertamento di reati più gravi o di veri e propri assetti criminali da contrastare a tutela dello Stato e della collettività, ma è altrettanto vero che il tempo ha dato prova di quanto sia accecante la spinta giustizialista che parte con indagini elefantiache per poi concludersi con un nulla di fatto o comunque con risultati nettamente meno soddisfacenti rispetto alle attese.
Tali pratiche, oltre a costituire un costo per il sistema giustizia, ne appesantiscono oltremodo la snellezza e la ragionevole durata, oltretutto, ciò che è più grave, sacrificando diritti dei singoli che hanno rilevanza costituzionale tanto quanto l’obbligatorio esercizio dell’azione penale.
Meritocrazia Italia chiede, come sempre, che si tenga davvero conto delle esigenze di giustizia con soluzioni di equilibrio e visione. Aderisce alla riforma proposta, che non elimina le proroghe ma le irrobustisce con requisiti propri e uno stringente onere di motivazione doveroso ai fini della responsabilizzazione degli inquirenti.
Stop war.