MI chiede un immediato ripensamento della riorganizzazione della rete dei laboratori accreditati
Urge un intervento sul sistema previsto di riorganizzazione della rete dei laboratori accreditati, che oggi favorisce le grandi società e la concentrazione di pochi player a livello nazionale.
Il sistema in essere potrebbe comportare, nel medio-lungo termine, una crescita dei prezzi sulle prestazioni erogate.
Ma non è solo questo.
Moltissime strutture dovranno trasformarsi in meri Punti di Accesso; questo le obbligherà a dismettere strumentazioni e risorse tecnologiche acquistate grazie a ingenti investimenti o mediante l’attivazione di contratti di leasing ancora in essere.
Se l’obiettivo vuol essere quello di garantire il rimodernamento tecnologico, non si comprende perché tutte le strutture accreditate con prestazioni inferiori a 200.000 debbano essere considerate a priori inadempienti. Molte dispongono di strumentistica avanzata che, oltre a garantire elevati standard qualitativi sulle prestazioni offerte, consente anche di velocizzare i tempi di refertazione.
Si denuncia l’esigenza di garantire un nuovo efficientamento, ma già oggi tante delle strutture esistenti e accreditate rispettano i c.dd. programmi di verifica.
A conti fatti, la riorganizzazione richiesta spinge i laboratori con prestazioni annue inferiori alle 200.000 a vendere la propria attività, prima che essa si svaluti e in previsione di una trasformazione in Spoke.
Si aggiunge che
– l’aggiornamento al ribasso del nomenclatore tariffario, giustificato dall’innovazione tecnologica e da una economia di scala, può essere garantito solo da società che operano su larga scala e in grado di erogare le proprie prestazioni a prezzi a ribasso, nonostante l’evolversi di un contesto che a partire dal 2007 a oggi ha visto il succedersi di crisi finanziaria, inflazione vertiginosa, e aumento dei costi dell’energia, dei trasporti e delle materie prime;
– le strutture di laboratorio sono sottoposte a limiti di budget determinati dalla Regione sulle prestazioni in convenzione con il SSN, e tale cap limita la capacità produttiva e di crescita delle stesse, oltre a determinare la presenza di liste di attesa sulle prestazioni richieste da Pazienti con gravi patologie.
Ci si chiede allora quali siano le prospettive di sopravvivenza per tutte quelle nuove aggregazioni costituite dalle pmi territoriali i cui hub dovranno, tra l’altro, assicurare capacità gestionale e amministrativa di molteplici realtà (Centri Prelievo) facenti capo alla propria rete, trovandosi a competere con grandi strutture societarie che, a seguito di operazioni di acquisizione/compartecipazione/fusione, di fatto saranno rappresentate da un’unica grande Società costituita da Hub e Centri Prelievo facenti tutti capo alla medesima azienda.
I Laboratori “Hub” difficilmente riusciranno a ricollocare nelle proprie strutture e nell’immediato tutto il personale in essere presso quelle strutture destinate a tramutarsi in meri Centri di Accesso, la cui assunzione è stata precedentemente incentivata dalla Regione Puglia mediante la valorizzazione nella Griglia di valutazione per la suddivisione del budget.
Non c’è dubbio che la questione può avere un impatto significativo sul tessuto sociale ed economico, soprattutto nelle Regioni meridionali.
Migliaia di dipendenti perderanno il lavoro. Non sarà per certo possibile portare tutto il personale prima presente nei vari laboratori “forzatamente” ridotti a spoke.
Se le tecnologie possono diventare obsolete nell’immediato, dequalificare biologi professionisti, che per anni hanno contribuito alla crescita del territorio, attraverso l’iniziativa imprenditoriale e l’acquisizione di competenze ed esperienza nel tempo, significa privare questi professionisti della propria dignità.
Il disagio si manifesta ormai con grande evidenza.
Non ultimo, l’incentivazione della configurazione di hub e spoke implica un forte incremento dei trasporti dei campioni di sangue. Una misura letteralmente in controtendenza con quelle che sono le attuali misure volte al risparmio energetico.
Meritocrazia Italia invoca attenzione per un problema purtroppo sottovalutato.
Chiede che si faccia anzitutto chiarezza sulle modalità attraverso le quali le nuove forme di aggregazione potranno raggiungere la soglia minima di efficienza per l’accesso all’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie private. Si preveda, inoltre, almeno, che tale criterio sia conseguito da parte delle strutture sanitarie o in forma singola o in forma aggregata, ove prevista l’aggregazione tra esse dalla normativa sopravvenuta.
A tale scopo si chiede di sostituire l’art. 8 quater, comma 3, lett. b, d.lg. n. 502 del 1992 con il seguente: «b) la valutazione della rispondenza delle strutture al fabbisogno, tenendo conto anche del criterio della soglia minima di efficienza che, compatibilmente con le risorse regionali disponibili, deve esser conseguita da parte delle strutture sanitarie (in forma singola o associata), e alla funzionalità della programmazione regionale, inclusa la determinazione dei limiti entro i quali sia possibile accreditare quantità di prestazioni in eccesso rispetto al fabbisogno programmato, in modo da assicurare un’efficace competizione tra le strutture accreditate».
Stop war.