MI: sì alla riforma pubblicazione ordinanze misure cautelari. Nessuno spazio per la spettacolarizzazione della giustizia

MI: sì alla riforma pubblicazione ordinanze misure cautelari. Nessuno spazio per la spettacolarizzazione della giustizia

Riceve l’ok del Consiglio dei Ministri la ribattezzata proposta di modifica del codice di procedura penale, ai sensi della quale non sarà più possibile la pubblicazione immediata del testo integrale, o del suo virgolettato se condotta per estratti, del testo delle ordinanze mediante le quali sono disposte misure cautelari.

Le misure cautelari, per loro natura, si collocano in un contesto predibattimentale e hanno lo scopo di anticipare una misura restrittiva (personale o reale) nella logica di non poter attendere l’esito del processo ordinario. La loro tenuta costituzionale è garantita dalla sussistenza di rigorosi presupposti sostanziali, dai limiti di durata (comunque definiti ex ante) della fase cautelare e dalla temporaneità delle misure, che vengono poi scomputate dal conteggio della pena definitiva (laddove la sentenza irrevocabile di condanna irroghi una sanzione detentiva). Conta che, consumandosi l’accertamento in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari – che è cosa diversa dall’accertamento della penale responsabilità dell’imputato – nella fase predibattimentale, le misure possono venire ad esistenza addirittura nella fase delle indagini, e dunque in un momento ancora precedente alla fase dell’udienza preliminare.

L’estrema vischiosità della fase predibattimentale e la marcata signoria inquirente della fase delle indagini richiedono, da codice e da Costituzione, un’elevata attenzione per l’effettività del principio di non colpevolezza, spesso brutalizzato dalle incursioni della stampa, che, accade, dà vita a un vero e proprio processo mediatico in cui i concetti giuridici sono stravolti, l’interlocuzione con la difesa è praticamente assente e durante il quale si costruisce il profilo ideale del cattivo di turno quanto invece è ancora tutto da vedere nelle garanzie proprie del processo.

Per vero, la riforma Orlando del 2017 aveva dato nuovo slancio alla pubblicazione delle ordinanze in forma integrale, contribuendo di fatto ad alimentare quella giustizia spicciola che si consuma quotidianamente sui social o nei salotti televisivi.
Ma, in un ordinamento che costituzionalmente poggia sul principio di non colpevolezza, il garantismo deve essere preservato e la proposta di riforma non può essere letta come un nuovo strumento per mettere un bavaglio alla stampa. Peraltro, da un lato, la modifica normativa non fa altro che recepire un chiaro imperativo europeo, dal momento che è l’Unione ad imporre l’uniformità della disciplina in materia, dall’altra, è del tutto fuorviante sostenere che sia vietata la pubblicazione delle ordinanze, in quanto essa è solo rimandata alla conclusione della fase preliminare (sia essa delle indagini o, per i processi che la richiedono, dell’udienza preliminare), e oltretutto tale limite temporale riguarda solamente la pubblicazione testuale della singola ordinanza non certamente il suo contenuto (che, per sintesi, è assolutamente suscettibile di pubblicazione e commento giornalistico).
Probabilmente, allora, il ruolo del giornalista forse ne uscirebbe addirittura valorizzato perché in questo modo egli assume il compito di rendere accessibile al lettore un provvedimento giudiziario permeato di tecnicismo, esercitando liberalmente e onestamente il suo diritto di cronaca, di critica e di controllo sulle informazioni, che, è evidente, non sono in alcun modo censurate (né potrebbero esserlo).

Il giornalismo competente sarà certamente all’altezza del compito, quello populista forse un po’ meno; del resto, ciò che conta in uno Stato di diritto è garantire una giustizia giusta non una giustizia che appaghi la spettacolarizzazione del male.

Stop war.



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