NEET, FENOMENO INTERNAZIONALE
Uno sguardo oltre i confini
L’acronimo NEET deriva dall’inglese Neither in Employment or in Education or Training ed è stato impiegato per la prima volta nel luglio 1999 in un report della Social Exclusion Unit del governo del Regno Unito come termine per la classificazione di una specifica e complessa fascia di popolazione, individuando i giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano.
Da quel momento in avanti l’acronimo è stato utilizzato in vari Paesi e varie lingue – con opportune modifiche fonetiche – per rappresentare i giovani che non hanno rapporti di impiego né scolastici di qualsiasi livello in essere. Sino agli anni 2000, quando la specifica categoria dei NEET è stata inserita nel rapporto EUROSTAT, divenendo uno dei parametri di riferimento per comprendere la situazione del mondo giovanile con particolare riferimento alle politiche dell’impiego.
Dall’osservazione statistica di questo importante indicatore la Commissione Europea ha tratto spunto per lo sviluppo delle politiche attinenti i giovani che, a partire dal primo decennio degli anni 2000, hanno assunto sempre maggiore rilevanza. La riduzione della disoccupazione giovanile e la strategia per impegnare in modo efficace il maggior numero possibile di giovani in Europa nel mondo del lavoro sono, infatti, divenute centrali nel programma politico dell’UE al fine di contrastare quei fenomeni di disimpegno dei giovani che via via si sono acuiti soprattutto con, e dopo, la crisi economica del 2008.
Tant’è vero che nell’aprile 2013 è stata adottata la proposta della Commissione al Consiglio UE di attuare una Garanzia per i giovani in tutti gli Stati membri nell’ambito della quale la riduzione del numero di NEET nei diversi Stati membri è stata posta come un obiettivo politico esplicito. Un traguardo ambizioso il cui core è stato individuato nella volontà di porre in essere strumenti di incentivo ed iniziative che consentissero di garantire che tutti i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni potessero ricevere un’offerta di lavoro seria ovvero di formazione continua, apprendistato o tirocinio entro i quattro mesi dalla disoccupazione o dal completamento dell’istruzione formale.
L’iniziativa Occupazione giovanile ha contribuito a migliorare la situazione sul campo, riducendo il numero di NEET, nonostante plurime difficoltà dovute alle diseguaglianze di situazioni socio – economiche riscontrate nei 28 paesi dell’Unione. Un risultato incoraggiante che ha portato, il 7 dicembre 2016, la Commissione europea a lanciare l’iniziativa Investire nei giovani d’Europa, un rinnovato sforzo volto a sostenere i giovani con l’incremento dei finanziamenti disponibili.
In tale direzione è di grande rilevanza e supporto il lavoro svolto da Eurofound, che ha sviluppato una ricerca molto approfondita sull’argomento allo scopo di analizzare a fondo l’eterogeneità della popolazione dei NEET. Occorre comprenderne appieno le componenti in modo tale da fornire dati e punti di riferimento concreti agli organi politici dell’Unione che consentano la formulazione di misure di sostegno adeguate per soddisfare un’ampia varietà di esigenze.
Per descrivere il mondo eterogeneo dei NEET, l’Eurofound individua i cinque gruppi: 1) disoccupati; 2) indisponibili, che non hanno possibilità di svolgere attività lavorative o formative per ragioni di salute o per responsabilità familiari; 3) disimpegnati, che per scelta passiva non cercano lavoro né occasioni formative; 4) cercatori di opportunità, che sono alla ricerca attiva dell’opportunità lavorativa o formativa che reputano più adeguata per loro; 5) volontari, che sono NEET per scelta attiva, perché si sono presi uno stacco per fare un viaggio o un’esperienza di volontariato o di piacere.
Da questa classificazione una domanda sorge spontanea: come si diventa NEET?
Probabilmente i modi più semplici sono quelli di smettere di studiare e non iniziare a lavorare, oppure prendersi il c.d. anno sabbatico e partire per l’estero. Se si abbandona la logica di rigide classificazioni, si è meglio in grado di comprendere che le ragioni di fondo vanno cercate nell’ambiente socio-economico dei giovani e per rispondere alla domanda possono essere individuati i seguenti fattori.
Educazione, in quanto un basso livello di istruzione aumenta di 3 volte il rischio di diventare un NEET, secondo la ricerca condotta dall’Eurofound.
Genere, visto che le donne hanno il 60% di probabilità in più di entrare nella categoria. Migrazione: avere un background migratorio aumenta del 70% il rischio.
Famiglia, in quanto avere genitori divorziati comporta un rischio maggiore del 30%; avere genitori disoccupati aumenta il rischio del 17%; mentre avere genitori con basso livello di istruzione raddopia la probabilità. Residenza perché vivere in aree remote aumenta di 1,5 volte la probabilità di diventare NEET.
Con la pandemia, in Europa il tasso di NEET è aumentato all’11,6% nel secondo trimestre del 2020 rispetto ai dati riferibili all’anno precedente.
In Italia sono aumentati in modo allarmante rispetto al resto d’Europa. Dal rapporto trimestrale sull’occupazione della Commisione UE emerge come i giovani tra i 15 e 24 anni che non lavorano né studiano hanno raggiunto il 20,7 % nel secondo trimestre dell’anno 2020. Dopo l’Italia nelle statistiche c’è la Bulgaria con il 15,2 % e la Spagna con il 15,1 %.
A uno sguardo dai confini europei, la situazione è altrettanto allarmante. In Messico, El Salvador e Brasile si ha una percentuale dei “NEET” superiore al 20%, mentre in Cile sono il 14% dei giovani a trovarsi in questa situazione.
Uno studio del 2018 condotto in America Latina e Caraibi dalla Banca Interamericana di Sviluppo (IDB) indica espressamente che non viene utilizzata la categoria dei NEET in modo autonomo. Lo studio oltre ad analizzare le variabili tradizionali sulle famiglie, come il reddito, il livello di istruzione dei componenti, pone l’attenzione su altre meno convenzionali come le informazioni relative alla presenza dei giovani nel mercato del lavoro, le loro aspirazioni, aspettative ed abilità socio-emotive.
Considerando il fenomeno da più punti di vista e con il metodo comparatistico, è possibile superare certi miti come quello che considera i giovani pigri e inattivi. Dalla ricerca è emerso come il 40% studia; il 17% studia e lavora; il 21% lavora solamente e il 21% (circa 20 milioni) appartiene al gruppo NEET.
Lo stesso studio ha rilevato come in Paraguay il 33% dei giovani studia e il 25% lavora. Ad Haiti il 68% studia mentre il 5% lavora. In Colombia e Paraguay, peraltro, più di un quinto dei giovani studia e lavora contemporaneamente. Tuttavia, ci sono differenze importanti tra i Paesi analizzati dalla ricerca in relazione alla situazione educativa ed occupazionale dei giovani e il dato più sorprendete è rappresentato dal fatto che la maggioranza ha avuto già una esperienza lavorativa all’età di 16 anni.
Perché non si può ignorare questo fenomeno?
Più passa il tempo e più vengono colpiti i giovani a livello individuale, aumentando i rischi di maggior svantaggio nell’accesso al mondo del lavoro e a un reddito adeguato.
Vi sono anche aspetti emotivi e sociali da non sottovalutare. Non si può trascurare anche un impatto sociale più ampio come la minor propensione dei NEET alla crescita e confronto con i coetanei a partecipare attivamente alla vita sociale, cultura e politica del proprio paese. Tutto questo ha un costo per la società. Un costo economico diretto, rappresentato dal pagamento dei sussidi di disoccupazione o altre misure del welfare; e quello indiretto che consiste in mancato reddito generato e mancato introito dalla tassazione.
Dare spazio all’occupazione giovanile ed alla formazione delle nuove generazioni è stato, dunque, uno di principali pilastri delle politiche dell’Unione Europea.
I risultati sono incoraggianti e possono essere ulteriormente migliorati nei prossimi anni per ridurre ancora di più il numero dei NEET presenti all’interno degli stati membri.
Si auspica che l’azione dell’Unione europea possa controbilanciare anche la gravissima crisi occupazionale innescata dalla pandemia in atto, i cui effetti non si sono ancora sentiti appieno in ragione delle politiche di intervento immediato sull’occupazione che ogni stato ha messo in pratica.
Fonti:
https://www.eurofound.europa.eu/
https://www.eurofound.europa.eu/it/publications/report/2016/labour-market-social-policies/exploring-the-diversity-of-neets
https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2020/12/22/lavoro-ue-con-covid-in-italia-neet-superano-il-20-_01629396-c209-490e-bd44-d78cf03800b3.html#:~:text=Salari%20bassi%20pi%C3%B9%20colpiti%20dalla%20crisi&text=In%20generale%2C%20in%20tutta%20l,%25%20in%20tutta%20l’Ue.
https://www.open.online/2020/07/22/istat-2-milioni-di-giovani-neet-italia-e-prima-in-europa/
https://expansion.mx/carrera/2018/11/22/son-ninis-porque-quieren-un-nuevo-estudio-revela-el-porque-de-este-fenomeno
https://www.iadb.org/en