Non c’è partecipazione senza verità

Non c’è partecipazione senza verità

Oggi la riflessione va al ruolo della stampa italiana.

Il giornalismo non è mai stato del tutto libero dai condizionamenti politici, ma in passato non aveva timore di trattare i temi più delicati e scottanti, facendo cultura. Questo valeva anche per la televisione di Stato.
Fare giornalismo voleva dire anzitutto studiare la realtà, conoscere, saper prestare attenzione alle sollecitazioni nascoste nel discorso del politico di turno, dello scienziato, della persona di spettacolo.
Siamo stati abituati ad ammirare la penna di Enzo Biagi e di tanti altri che, come lui, hanno saputo cogliere il senso più profondo della missione.

Nel 1917, Antonio Gramsci scriveva che non bisogna credere al fato e pensare che i nodi della vita siano sempre imprevedibili e ineluttabili. Molto dipende da noi, dalla mancata partecipazione di chi preferisce la lamentela all’azione. Non sappiamo prenderci cura di noi. Vediamo quello che non va bene, ma non alziamo un dito per cambiarlo. In quell’inerzia si annida il fallimento della democrazia, che è sconfitta del popolo.

Un pensiero quantomai attuale, specie considerato il livello altissimo di astensionismo in sede elettorale.
Da allora, nessun passo avanti, ma addirittura un arretramento culturale aggravato da un populismo ideologico che fa diventare tutti protagonisti senza neppure promozione delle buone pratiche. Senza modelli positivi.

In questo scenario, noi proviamo a fare la differenza, raccogliendo tante persone attorno a obiettivi comuni, di miglioramento del contesto sociale attraverso un’attività intensa di costruttiva proposizione. A favore del Paese.
Per poter raggiungere il traguardo di maggiori meritocrazia ed equità sociale, il popolo deve poter partecipare.
A volte, però, coinvolgere i cittadini comuni diventa operazione complessa, perché i cittadini trovano stimolo solo nell’immediato tornaconto personale.
Quando, invece, il guadagno è nel lungo periodo e comunque non ha carattere economico, nessuno è disponibile all’impegno. Non si trova il tempo per discutere e ragionare insieme.
Vince l’individualismo.
Ci si rifiuta di agire, senza neppure pensare che quello che non si vuole fare in prima persona poi spetterà ad altri.

Ho rivisto di recente un’intervista a Giulio Andreotti, che già parlava della situazione nella striscia di Gaza come di un problema destinato a restare insoluto, perché tutti i soggetti coinvolti sono animati da rancore.

Questo è il mondo che ci viene consegnato.
Un mondo che accetta la guida di grandi lobbisti.
Dobbiamo prendere le distanze dall’idea che la vera ricchezza sia quella economica.
Puntiamo invece a una rivoluzione culturale.
In questo non aiuta un giornalismo basato solo sul pettegolezzo, che allontana dalla verità, e mortifica la partecipazione libera.



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