Non tecnocrazia, ma competenza e sensibilità
È importante che chi ha il gravoso onere di governare faccia uno sforzo di conoscenza, in ogni ambito nel quale è chiamato a intervenire.
Ci sono problematiche alle quali è possibile dare risposta soltanto studiandone tutte le pieghe. Penso, ad esempio, alla questione, spesso discussa senza la dovuta consapevolezza, dell’impatto dell’evoluzione tecnologica sulle relazioni sociali, lavorative ed economiche. Non è immaginabile che un medico specializzato nella cura di una certa patologia si fermi a quello che già sa e non si tenga aggiornato sugli sviluppi di quella branca; e nella politica è lo stesso.
La scarsa coscienza delle reali implicazioni di alcuni fenomeni è ciò che favorisce l’attecchire del potere sommerso delle lobby che, ovviamente mosse da propri interessi economici, pilotano abitudini e relazioni, e manovrano le decisioni politiche.
La politica professionale è diventata una disciplina specialistica, con un proprio particolare ambito di competenza: i politici sono molto preparati nella gestione delle campagne elettorali, nella mistificazione delle informazioni e nella macchinazione di complotti ai danni dei rivali, da screditare pubblicamente per avere la meglio nella raccolta del consenso dei cittadini.
È solo questo.
Purtroppo la politica offre sempre meno concretezza, adagiandosi nelle comodità della contestazione, del divisionismo e della delegittimazione dell’altro.
Eppure l’interesse dei cittadini non si persegue alimentando l’odio verso qualcuno, ricercando un capro espiatorio per ogni cosa che non va. Questo è certo.
Molto del disagio oggi avvertito è dovuto alla scarsa propensione allo studio. Della tecnologia, ad esempio, a conti fatti, sappiamo davvero poco, e ci lasciamo trasportare come canne al vento, ci lasciamo condizionare nei gusti e nelle abitudini, affidiamo i nostri sentimenti alla freddezza algoritmica dei social. In una forma nuova, pericolosissima, di dipendenza. Quasi in uno strano stato di ipnosi.
È successo anche, in altra forma e in altro contesto, con la grave crisi finanziaria del 2008, con il fallimento di Lehman Brothers. Venne fuori che un gruppo di banchieri aveva nelle mani il potere di far andare a rotoli le finanze di tutto il mondo, nella più totale incoscienza di risparmiatori che nulla sapevano della qualità e delle caratteristiche dei prodotti finanziari che acquistavano. Un’operazione temeraria che serviva solo a far crescere numeri, di persone e di capitali raccolti. Una bolla pronta a esplodere. Com’è accaduto.
Del resto, questo è ciò che accade sempre quando si dismette la competenza, o almeno la voglia di conoscenza. Quando ci si affida, acriticamente.
È un problema della politica, ma è anche un problema di ciascuno di noi.
I cittadini devono mettersi nella condizione di partecipare, recuperare interesse e adoperarsi.
Invocare competenza non vuol dire, però, invocare l’avvento di una moderna tecnocrazia, che, in sé, non porta evoluzione sociale, crescita. La soluzione ai problemi non ha mai struttura matematica. Ogni ragionamento deve partire da una solida base valoriale, dallo studio, condotto con sensibilità, degli interessi, delle prerogative esistenziali, delle speciali fragilità.
Sono bellissimi alcuni passaggi di Guy de Maupassant, che raccontano l’uomo nelle sue inclinazioni, nelle sue debolezze, nelle sue contraddizioni. Prendere coscienza della natura umana consente anche di meglio immaginare il modo in cui forgiare una società che non lascia indietro nessuno.