Nuove sanzioni alla Russia: siano misura estrema e residuale, si intensifichi l’azione diplomatica
Il conflitto armato tra Russia e Ucraina non accenna a cessare e, tra le strategie di intervento da parte della comunità internazionale, torna a discutersi di nuove sanzioni.
L’idea trova il riscontro favorevole dei Paesi occidentali, ma suscita preoccupazioni rispetto alla concreta capacità dell’Unione di gestire la crisi. In questi anni sono emerse superficialità e mancanza di coordinamento. Gli stessi problemi di mancanza di sinergia sono emersi anche per la crisi israeliana, affrontata dai Paesi europei in modo disordinato, senza una linea comune condivisa, anzi con posizioni contrastanti.
Si aggiunge che le sanzioni già adottate non sembrano aver raggiunto il risultato di far pressione verso il ripristino di equilibri stabili.
Questo dimostra ancora una volta la fragilità dell’Europa in politica estera.
A ogni modo, è vero che l’adozione di misure sanzionatorie sempre più stringenti nei confronti della Russia, come per altro applicate verso quei Paesi che non rispettano i diritti umani (come IRAN e North Korea), si è resa necessaria anche se questo ha comportato, per i Paesi europei, un sacrificio importante a causa della dipendenza dalle forniture del gas e di altre materie prime come i fertilizzanti importati dalla Russia. Interessi di stabilità economica interna non possono legittimare indifferenza nei confronti di quegli Stati che perseverano nella violazione dei diritti umani, da condannare sempre.
Meritocrazia Italia invoca da sempre, con convinzione, un maggiore impegno nell’azione diplomatica, l’unica strada per ristabilire una pace duratura, e si oppone alla corsa agli armamenti. Ulteriori sanzioni economiche rappresentino una misura estrema e residuale, non soltanto per le implicazioni che inevitabilmente possono avere per l’economia interna, ma anche perché è certo che, in Russia, a subirne le conseguenze più drastiche sarebbero i cittadini, per la mancanza di beni di prima necessità che si fanno sempre più scarsi in un Paese che vive da anni un’economia di guerra.
Stop war.