Oltre il mito della democrazia

Oltre il mito della democrazia

Si possono dire tante cose delle democrazie moderne dei Paesi occidentali, specie alla luce degli insegnamenti della storia. Tante sono state le esperienze di dittatura e tante volte i diritti umani sono stati sacrificati sull’altare del potere individuale, dall’impero romano a oggi.

Leggevo in questi giorni un interessante articolo sulla rivista tedesca Der Spiegel, che ragionava proprio di questo, menzionando le politiche di Le Pen, Trump, ma anche quelle di Orban, Meloni, Putin e altri leader internazionali. Si chiedeva come mai, a fronte dell’emergere di una forte volontà popolare, di massima espressione del potere del popolo, poi si finisce così spesso per affidarsi a individui fortemente autoritari.
Sembra una contraddizione, è vero.
Ma anche questo rientra nel concetto di democrazia, che racchiude in sé la libertà di scelta dei punti di riferimento delle comunità.

C’è, però, un altro lato della medaglia. Che la democrazia non è solo questo, è anche e soprattutto partecipazione.
Eppure in Italia, e non solo, un’altissima percentuale di votanti sceglie di non esprimersi nella scelta dei propri rappresentanti, e si astiene.

Questo riporta il pensiero al mito greco, che ha alla base la voglia delle persone di narrare i fatti, alle volte combinando fedeltà agli eventi e fantasia. Il racconto come mezzo di coinvolgimento dei singoli nella vita sociale, di attrazione alla partecipazione pubblica. Alla fine non contava più se gli eventi narrati fossero veri o no, e il mito diventava quasi sacro. Nascevano così le credenze comuni.
Ciò per dire che spesso il popolo viene indirizzato sempre con una certa formazione, con la cultura.
Tanto che il mito greco si evolse in filosofia, nello studio del sapere, nella conoscenza, nell’approfondimento delle storie, alla ricerca di un senso, di una spiegazione attendibile. Da qui, le correnti di pensiero, le ideologie. Fiumi che sono sfociati nell’unico, immenso, mare della politica. Da allora fino ai giorni nostri.

Oggi invece si avverte un senso di arrendevolezza dinanzi alla difficoltà della conoscenza che non consente di crescere e di migliorarsi nel pensiero. Così si spiega il qualunquismo nel quale cadiamo. Così si spiega il fatto che continuiamo ad alimentare gli scontri e le divisioni, accontentandocisi di far prevalere ‘il meno peggio’.
Se la politica si riduce a questo, quel patto al tempo siglato da Roosevelt, Churchill e Stalin, con il quale si stabilirono equilibri nuovi e una nuova pace, perde di attualità e non può essere mantenuto. Nella complessità del quadro di oggi, non regge più. Troppe ambiguità nelle relazioni internazionali. Troppe incomprensioni.
Quando il vincitore vuole affermarsi in maniera eclatante su tutti gli altri, vuole ‘stravincere’, a perdere è la popolazione. Soprattutto quella parte di cittadini che sceglie di non esserci, di non partecipare, di non fare la sua parte.

Queste considerazioni esprimono bene lo spirito di Meritocrazia.
Non si attua davvero la democrazia senza vivere attivamente l’impegno sociale, senza dedicare parte del proprio tempo alla causa comune, senza sforzarsi di condividere la propria passione con gli altri, per contagiare con il proprio entusiasmo e seminare voglia di fare.
È la contaminazione culturale ad alimentare la migliore delle democrazie possibili, quella partecipativa.



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