OLTRE IL SUSSIDIO, L’INCLUSIONE
Nuovi obiettivi di coesione sociale
La SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva) è una misura di contrasto alla povertà destinata a supportare le famiglie che vivono una condizione di disagio economico, soprattutto a causa della disoccupazione, e mirata a introdurre strumenti di inclusione sociale e lavorativa. Nasce con la legge di stabilità 2015 e ben presto viene affiancata dall’ASDI, l’Assegno di disoccupazione.
Dall’1 gennaio 2018 questi due sussidi sono stati sostituiti dal REI, il reddito di inclusione, a propria volta inglobato dal 2019 al reddito di cittadinanza.
Nonostante la diversificazione, l’obiettivo dei sussidi resta unico nel fornire un sostegno alle famiglie in difficoltà con minori, disAbili e donne in gravidanza, al fine di traghettarle oltre le difficoltà, verso uno stato di indipendenza e autonomia di sostentamento.
Nell’idea, l’accesso ai benefici è subordinato alla presentazione di un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa predisposto dai servizi sociali del comune, in uno con i servizi per l’impiego, i servizi sanitari e le scuole, e in collaborazione, se presenti, con soggetti privati ed enti no profit. Le attività possono riguardare non solo la formazione progettata, ma anche il sostegno alla ricerca attiva di lavoro e il sostegno al conseguimento, o la formazione scolastica.
Unico requisito: l’adesione al progetto, consapevole e attiva, nonché continuativa.
Moltissimi i progetti presentati sino ad oggi ai diversi Comuni della penisola.
Il prossimo anno vedrà affiancarsi lo strumento dei bonus Famiglia, che prevedono, qualora il reddito familiare sia del tutto assente, contributi e aiuti anche per l’affitto dell’abitazione o il pagamento delle utenze.
Da marzo poi, sarà inoltre possibile chiede l’erogazione dell’assegno unico per i figli sino ai 21 anni d’età, a partire dal settimo mese di gravidanza, e con maggiorazioni dal terzo figlio. Possono richiederlo tutti i cittadini italiani e dell’Unione europea e gli extracomunitari con permesso di soggiorno di lungo periodo residenti in Italia da almeno due anni, anche non continuativi. L’assegno unico potrà essere richiesto inoltre anche dai lavoratori non dipendenti: via libera ad autonomi, professionisti e disoccupati. Unico vincolo questa volta, la residenza fiscale nazionale, quale forma di circolarizzazione dell’erogazione all’interno di uno stato sociale che nell’ultimo periodo comincia a delinearsi più marcatamente verso l’inclusione, anche all’interno del nostro Paese.
L’evoluzione dello Stato sociale prende in considerazione anche la riforma dei congedi parentali e dei sostegni per asili nido, scuole materne e percorsi di studi universitari ed altro.
È del tutto evidente, però, che la somma di € 780,00 mensili non è sufficiente a supportare e sostituire integralmente il necessario per un nucleo familiare con figli minori in età scolare, soprattutto se è presente un soggetto anziano o minore con disabilità.
È essenziale piuttosto puntare alla creazione di un’economia di coesione sociale che sappia introdurre forme progettuali inclusive capaci, da una parte, di offrire uno strumento di raggiungimento dell’occupazione a chi non riesca autonomamente a raggiungerlo e, dall’altra, di invogliare – se non per sentimento proprio sociale – almeno fiscalmente l’inclusione di soggetti svantaggiati.
L’Unione europea ha sollecitato un momento di sensibilizzazione dal 2016 (legge delega 106/2016) in poi, invitando tutti i Paesi afferenti all’emanazione di una normativa allineata in ambito di enti del terzo settore e società benefit.
Il decreto Fiscale e il decreto Semplificazioni hanno introdotto, tra il 2019 e il 2020, modifiche alle voci in deduzione per le erogazioni liberali a favore degli ETS e ripristinato l’aliquota IRES al 12% per le attività̀ del Terzo settore, estendendola anche alle associazioni o fondazioni di diritto privato originate dalla trasformazione di istituti pubblici di assistenza e beneficenza ex IPAB nel novero degli enti del Terzo settore.
Si dubita, però, che tali manovre siano davvero adeguate a creare un pensiero inclusivo sociale, in quanto rappresentano meri sussidi a uno stato di disAbilità e disagio, non lo strumento per la decisiva promozione di una socialità integralmente annoverata.
È questo passaggio di «ragionamento inclusivo social-societario» che invece dev’essere oggi compiuto nell’organizzare imprese e società capaci di incamerare non per obbligo legislativo, ma per appartenenza sociale, anche lavoratori affetti da disAbilità il cui programma di inserimento lavorativo sia un momento di ricerca ed accrescimento anche per l’impresa ed il cui carico strutturale sia sostenuto a livello tributario attraverso sgravi fiscali.
Questo l’obiettivo del futuro.