“Per creare un mondo giusto e più umano”
Ci stiamo avvicinando al sesto Congresso Nazionale di Meritocrazia Italia. Sarà un momento di conferme, ma anche di nuovi slanci, di consapevolezza ma anche di nuovo entusiasmo, di coerenza ma anche di un pizzico di sana follia.
Per stimolare queste emozioni, riporto alcuni passi del Discorso alla Conferenza di Pace di Parigi del 10 agosto 1946 di Alcide De Gasperi, di cui peraltro ricorre il settantesimo anniversario della morte.
Così iniziava De Gasperi: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato, e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione. Non corro io il rischio di apparire come uno spirito angusto e perturbatore, che si fa portavoce di egoismi nazionali e di interessi unilaterali? Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universaliste del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire».
E quindi concludeva: «Signori Ministri, Signori Delegati. Per mesi e mesi ho atteso invano di potervi esprimere in una sintesi generale il pensiero dell’Italia sulle condizioni della sua pace, ed oggi ancora comparendo qui nella veste di ex nemico, veste che non fu mai quella del popolo italiano, innanzi a Voi, affaticati dal lungo travaglio o anelanti alla conclusione. Ho fatto uno sforzo per contenere il sentimento e dominare la parola, onde sia palese che siamo lungi dal voler intralciare ma intendiamo costruttivamente favorire la vostra opera, in quanto contribuisca ad un assetto più giusto del mondo. Chi si fa interprete oggi del popolo italiano è combattuto da doveri apparentemente contrastanti. Da una parte egli deve esprimere l’ansia, il dolore, l’angosciosa preoccupazione per le conseguenze del trattato, dall’altra riaffermare la fede della nuova democrazia italiana nel superamento della crisi della guerra e nel rinnovamento del mondo operato con validi strumenti di pace. Tale fede nutro io pure e tale fede sono venuti qui a proclamare con me i miei due autorevoli colleghi, l’uno già Presidente del Consiglio, prima che il fascismo stroncasse l’evoluzione democratica dell’altro dopoguerra, il secondo Presidente dell’Assemblea Costituente Repubblicana, vittima ieri dell’esilio e delle prigioni e animatore oggi di democrazia e di giustizia sociale: entrambi interpreti di quell’Assemblea a cui spetterà di decidere se il trattato che uscirà dai vostri lavori sarà tale da autorizzarla ad assumerne la corresponsabilità, senza correre il rischio di compromettere la libertà e lo sviluppo democratico del popolo italiano. Signori Delegati, grava su voi la responsabilità di dare al mondo una pace che corrisponda ai conclamati fini della guerra, cioè all’indipendenza e alla fraterna collaborazione dei popoli liberi. Come italiano non vi chiedo nessuna concessione particolare, vi chiedo solo di inquadrare la nostra pace nella pace che ansiosamente attendono gli uomini e le donne di ogni paese, che nella guerra hanno combattuto e sofferto per una mèta ideale. Non sostate sui labili espedienti, non illudetevi con una tregua momentanea o con compromessi instabili: guardate a quella mèta ideale, fate uno sforzo tenace e generoso per raggiungerla. È in questo quadro di una pace generale stabile, Signori Delegati, che vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica d’Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano».
Un discorso di disarmante attualità, che dovrebbe ispirare i governi a livello internazionale per raggiungere «quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire», andando oltre gli «egoismi nazionali e di interessi unilaterali».
Un discorso che dovrebbe ispirare la classe dirigenziale ed istituzionale del nostro Paese, facendole riscoprire l’entusiasmo di essere rappresentanti del popolo in questa loro missione a favore del benessere della collettività senza limitarsi ad interessi individuali e di partito.
Un discorso che dovrebbe ispirare anche, e soprattutto, i cittadini, spingendoli a non essere spettatori ed ascoltare passivamente tutto ciò che viene loro detto, ma ad interessarsi, approfondire, comprendere la realtà e le relative problematiche cercando di formulare delle proposte efficaci, come peraltro cerca di fare quotidianamente Meritocrazia Italia.
Una cittadinanza che non si accontenti, ma miri sempre alla méta ideale, che sia quel «popolo pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano».