Per i piccoli spacciatori, non aumento delle pene, ma riabilitazione e risocializzazione
Viene in discussione la proposta, già depositata un anno fa, di aumentare le pene per il reato di produzione, traffico e detenzione di stupefacenti di lieve entità e garantire così il carcere preventivo, innalzato il massimo edittale previsto per tali condotte a 5 anni (a fronte degli attuali 4 anni), con previsione della confisca per equivalente dei proventi dell’attività di spaccio.
Secondo alcuni, tale proposta si porrebbe in controtendenza rispetto alle politiche di contrasto al problema del sovraffollamento carcerario; risponderebbe bene, invece, alla teoria secondo la quale l’emergenza carceri si risolva non con politiche di depenalizzazione o decarcerizzazione ma più semplicemente ampliando la capienza degli istituti.
La questione è delicata e non merita strumentalizzazioni politiche.
Si sottovaluta un fatto ovvio, che il piccolo spacciatore è spesso l’ultimo anello di una catena molto più lunga con all’apice intere organizzazioni, che solitamente vive di questo e che il suo principale obiettivo è procurarsi in primis le dosi necessarie al proprio consumo personale.
D’altro lato, la pena è tanto più deterrente quanto più colpisce, limitandoli, gli interessi sensibili del sanzionato: non è detto che la detenzione sia il peggiore dei mali per colui che vive di spaccio, lo sarà più verosimilmente uscire dal mercato, dalla piazza e in generale dal circuito in cui è inserito.
Inoltre, nella prospettiva giuridica di respiro eurounitario risuona quasi anacronistico, oggi, concepire la pena come sinonimo di sola detenzione.
Un’efficace politica di contrasto alla capillarità del traffico di stupefacenti dovrebbe, in via prioritaria, colpire lì dove la misura sia in grado di infliggere un colpo duro non tanto al piccolo spacciatore quanto alla rete di cui egli è solo una maglia, peraltro quasi insignificante, ed è certamente questo il profilo economico unitamente a quello di radicamento sul territorio.
Meritocrazia Italia chiede un approccio di maggiore visione a temi sensibili come la lotta al traffico di sostanze illecite e di uscire dagli schemi della tassonomia tradizionale in materia di sanzioni penali, per prediligere soluzioni afflittive di diversa natura, tra le quali la conversione della pena in riabilitazione obbligatoria per gli spacciatori tossici, misure ablative del patrimonio sui profitti anche per equivalente indipendentemente dalla loro entità economica, lavori di pubblica utilità con vocazione rieducativa specifica.
L’inasprimento della pena e la detenzione perseguita a ogni costo non producono alcun effetto deflattivo né consentono la realizzazione della finalità prima, che è quella del recupero e della risocializzazione.
Stop war.