PER UN RILANCIO DEL SISTEMA PORTUALE ITALIANO
Il commercio estero internazionale aumenta a un ritmo sostenuto e nuovamente costante (negli ultimi dieci anni gli scambi tra le aree continentali sono praticamente raddoppiati). Il Mar Mediterraneo torna a essere un bacino strategico nelle relazioni commerciali tra le principali aree del Pianeta (nel 2008 i porti del Mediterraneo gestivano il 28% del traffico portuale europeo, nel 2018 tale quota è salita al 35%), ma il sistema portuale del nostro Paese non sembra accorgersene.
L’Italia è in netta controtendenza rispetto al complesso della portualità Mediterranea. Negli ultimi dieci anni, mentre gli altri porti del Mediterraneo ‘rosicchiavano’ ai porti del Nord Europa circa il 7% delle quote di mercato continentale, il sistema portuale italiano ne perdeva il 2%. Inoltre, mentre la crescita tumultuosa dell’emisfero orientale (Estremo e Medio oriente e Sub continente indiano), ‘gonfiava’ il volume degli attraversamenti del Canale di Suez (tra il 2011 e il 2018 le tonnellate in transito sono cresciute del 42%), il sistema portuale nazionale è rimasto indifferente facendo registrare nel medesimo periodo un leggero sobbalzo in avanti del solo 2%.
Tutto ciò non è imputabile ad una arretratezza delle infrastrutture dei sistemi dei trasporti e della logistica. Infatti l’analisi della rete infrastrutturale nazionale e il suo confronto con gli altri Paesi europei non segnalano un particolare deficit.
L’Italia non riesce a cogliere le opportunità non tanto a causa della sottodotazione quantitativa delle reti, quanto piuttosto per la modesta capacità del sistema di assicurare collegamenti rapidi a territori, mercati di sbocco, grandi metropoli all’interno e verso l’Europa.
Inoltre manca la capacità di spendere le risorse impegnate soprattutto per le cosiddette grandi opere (gli stessi dati di Bilancio ci segnalano che di anno in anno i residui degli anni precedenti sono più elevati delle risorse impegnate per la costruzione di nuove opere pubbliche) e, quando finalmente si avvia il processo realizzativo, la dilatazione dei tempi di conclusione dei lavori è impressionante, mediamente oltre i 4 anni.
Il Made in Italy per sostenere la propria proiezione internazionale acquista i servizi di trasporto presso imprese straniere, il saldo della bilancia commerciale di tali servizi è da molti anni negativo (nel 2018 il passivo era di 5,5 miliardi). Il solo autotrasporto dal 2000 al 2018 ha dimezzato la propria quota di mercato passando dal 40% al 20%.
Ovviamente la qualificazione professionale degli addetti è un altro tema che è meritevole di essere considerato in virtù delle modificazioni strutturali e di sistema di cui il settore è stato oggetto nel corso degli ultimi tempi; inutile dire che una riqualificazione del personale sarebbe auspicabile per aumentare il livello di competitività dei servizi in uno scenario internazionale.
A ciò si aggiunga che lo sviluppo di software specializzati nell’ottimizzazione dei processi, l’avanzamento dei sistemi di automazione nella gestione dei magazzini, l’innovazione tecnologica nei processi di guida dei mezzi di trasporto, così come la crescente quantità di dati e di informazioni, che sia i mezzi, sia le merci in movimento sono in grado di trasmettere, stanno sostanzialmente modificando il contenuto del lavoro nella logistica e nei trasporti, da lavoro fisico a lavoro intellettuale, in cui la conoscenza teorica sta ponendo in secondo piano il valore dell’esperienza diretta. La portata delle trasformazioni indotte dalle innovazioni tecnologiche e operative legate all’utilizzazione di Big data, dell’intelligenza artificiale, della digitalizzazione e dell’automazione impongono una sorta di rivoluzione culturale nel modo di pensare i trasporti.
Ragionando su alcune proiezioni, è importante dire che l’eventuale impatto sul nostro sistema economico di solo il 5% del traffico portuale potrebbe infatti determinare un innalzamento del fatturato del complesso delle attività economiche che gravano attorno al porto (logistica portuale, logistica terrestre e cluster marittimo) di oltre 2 miliardi, generando circa 800 milioni di valore aggiunto e circa 8.000 posti di lavoro.
La crescita del quadrante orientale del Pianeta trainato per lo più dalla Cina, ma anche da i Paesi aderenti all’are ASEAN con Thailandia, Indonesia e Malesia su tutte, oltre alla crescita di tutti i paesi dell’area Mediorientale tra i quali si citano Emirati Arabi e Arabia Saudita non è il solo fenomeno che sta collocando al centro degli scambi internazionali di merce il bacino del Mediterraneo. In primo luogo la ‘guerra commerciale’ tra Stati Uniti e Cina sta indebolendo gli scambi lungo le linee transpacifiche (Estremo oriente-Nord America), in favore di quelli Asia-Europa. Oggi il processo di integrazione che si sta realizzando con i Paesi dell’area Asean sta aprendo opportunità uniche. Questi Paesi, nel loro complesso, rappresentano la sesta economia più grande a livello mondiale e si prevede che diventeranno la quarta economia più grande entro il 2050. Sono il terzo più grande bacino di popolazione e la quarta più grande regione esportatrice nel mondo.
Il principale indicatore della crescita di rango del bacino del Mediterraneo all’interno degli scambi internazionali di merce è l’incremento tumultuoso dei transiti lungo il Canale di Suez divenuto ormai il principale termometro dei commerci Est-Ovest.
L’Europa incoraggia si può dire da sempre, gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto, promuovendo in particolare un disegno della rete incardinato su grandi reti di collegamento (i c.d. “Corridoi europei”) plurimodali (ferroviari, marittimi e, in misura minore, stradali) attraverso il programma (TEN-T). A livello nazionale opera il Sistema Nazionale Integrato dei trasporti (SNIT). Lo SNIT solo parzialmente è stato realizzato, anche perché la lista delle opere è molto lunga e non sono state individuate le priorità.
Pertanto lo sviluppo della rete infrastrutturale sembrerebbe avere un piano di investimenti sufficientemente ampio e articolato secondo criteri di priorità definiti da una visione strategica elaborata dal precedente Governo e sostanzialmente confermata. Il nodo a questo punto è l’effettiva implementazione di quanto programmato, ovvero: capacità di spesa da parte della pubblica amministrazione e tempestività realizzativa da parte delle imprese. A ciò purtroppo si aggiunge un debole mercato dei servizi di trasporto che obbliga le imprese italiane esportatrici ad acquistare tali servizi da imprese estere, fiaccando così il contributo del saldo positivo commerciale del made in Italy manifatturiero (+33 miliardi) con la penalizzazione del saldo negativo del made in Italy trasportistico (-5,5 miliardi).
I porti possono infatti diventare oltre che un volano prezioso per sostenere i flussi import ed export della manifattura nazionale, anche un’opportunità economica interessante per sospingere verso la crescita il PIL nazionale. L’impatto potenziale complessivo (diretto, indiretto e indotto) dell’incremento di solo il 5% del traffico portuale potrebbe infatti determinare un incremento del fatturato del complesso delle attività economiche che gravano attorno al porto (logistica portuale, logistica terrestre e cluster marittimo) di oltre 2 miliardi generando 775 milioni di valore aggiunto e circa 7.600 posti di lavoro (7.588). Si tratta di un impatto non trascurabile se si considera che nel 2008, cioè prima della crisi del 2009, la Banca d’Italia aveva stimato che l’ILVA di Taranto con i suoi 12.000 addetti era in grado di generare un valore aggiunto di circa 1 miliardo.
In conclusione, sarebbe importante promuovere la Creazione di un Hub internazionale in Italia di logistica e trasporti che sia in grado di coniugare le esigenze del settore distributivo della filiera agroalimentare e del settore turistico, tanto per rimanere su ambiti in cui l’Italia è fortemente vocata e dall’altra di soddisfare la richiesta di materie prime di cui la regione Asean è ricca.
Grazie alle loro caratteristiche tipiche i Paesi dell’Asean, ma ovviamente anche i paesi dell’area Magrhrebina ed i Paesi del medio oriente per dimensioni e modelli economici, rappresentano un naturale interlocutore per l’Europa intera ma soprattutto per l’Italia che nel Mediterraneo rappresenta il centro di interessi all’interno dell’Unione europea.
Sarebbe auspicabile pertanto agire su alcune direttrici che di fatto agiscono come leve per la crescita:
– la formazione degli addetti in una chiave innovativa,
– un’accelerazione sulla dotazione infrastrutturale assecondando i programmi europei già in essere e i programmi nazionali già operativi, nel tentativo di sburocratizzare i processi decisionali e di rendere immediatamente cantierabili le iniziative per le quali già si sono individuate le priorità con un occhio particolare a far crescere la dotazione infrastrutturale del sud Italia;
– la promozione immediata della piena operatività delle aree ZES (zone economiche speciali) introdotte dal Decreto Mezzogiorno per le imprese già insediate o che intendono insediarsi e per le quali opera il credito di imposta nella misura del 50% oltre incentivi fiscali ed agevolazioni.
Una grande opportunità per il Paese, i suoi distretti industriali e la sua naturale vocazione all’export.
Una grande occasione per la naturale vocazione globale dell’Italia.
Di FABIO SPILOTROS
Fonti:
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
Agenzia per la coesione territoriale
Centro Studi Confcommercio