PNRR: ‘MISSIONE SALUTE’
Per un nuovo modello di Assistenza domiciliare
La componente 1 della ‘Missione Salute’ del PNRR si pone l’obiettivo di potenziare le prestazioni sanitarie erogate sul territorio facendo leva sulla creazione di strutture e presidi territoriali (Case della Comunità e Ospedali di Comunità), sul rafforzamento dell’assistenza domiciliare e sullo sviluppo della telemedicina.
All’Assistenza Domiciliare Integrata (da qui, ADI) è dedicato l’investimento n. 2, con l’obiettivo di aumentare il volume delle prestazioni sino a oggi rese fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10% della popolazione, di età superiore ai 65 anni ed affetta da patologie croniche e/o non autosufficiente.
Gli scopi dell’investimento – si legge nel PNRR – sono quelli di:
1) identificare un modello condiviso per l’erogazione delle cure domiciliari che sfrutti al meglio le possibilità offerte dalle nuove tecnologie (come la telemedicina, la domotica, la digitalizzazione);
2) realizzare presso ogni ASL un sistema informativo in grado di rilevare dati clinici in tempo reale;
3) attivare 602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza;
4) utilizzare la telemedicina per supportare al meglio i pazienti con malattie croniche. L’aumento di spesa derivante dall’incremento dell’assistenza domiciliare verrà sostenuto – nel periodo 2022-2026 – per il 48% da risorse statali e per il 52% da risorse a valere sul PNRR.
A far data dall’anno 2027 – quando non saranno più disponibili i fondi del Recovery Plan – la spesa dell’ADI dovrebbe essere finanziata con i risparmi derivanti dalla riorganizzazione sanitaria e, segnatamente, dalla riduzione delle ospedalizzazioni, dalla contrazione degli accessi inappropriati nei Pronto Soccorsi (per i codici bianchi e verdi) e dalla riduzione della spesa farmaceutica.
Al netto di ogni considerazione sulla possibile realizzazione degli auspicati risparmi di spesa, non può non sottacersi che, nel Piano di Resilienza, manca del tutto la riforma, a più riprese auspicata dalla società civile, delle modalità di erogazione dell’assistenza domiciliare. L’ADI, infatti, paga lo scotto di essere un servizio non concepito per rispondere alle peculiarità della non autosufficienza ed è proprio per questo che nella sua attuale declinazione offre agli utenti con oneri a carico delle AASSLL prestazioni singole (di natura medico-infermieristico-riabilitativa) in risposta a specifiche e circoscritte esigenze sanitarie, risultando per tal verso incompleto e inidoneo a coprire la molteplicità dei bisogni legati alla non autosufficienza.
In concreto, sono rari gli interventi di sostegno all’utente nelle attività fondamentali della vita quotidiana, così come assenti sono le azioni di supporto a familiari e badanti; inoltre, il valore medio di ore erogate annualmente per ogni utente è pari a 18 e la durata dell’assistenza è di norma circoscritta a 2-3 mesi, in genere quelli successivi alla dismissione ospedaliera, con esclusione dell’assistenza di lunga durata.
Diverso dall’ADI è il SAD (Servizio di Assistenza Domiciliare), erogato dai Comuni agli anziani non autosufficienti e senza risorse: qui il welfare pubblico è di natura residuale e subentra quando la famiglia non ce la fa da sola.
Si stima che la spesa annuale del SAD ammonti a 347 milioni e nessun incremento di risorse è stato per esso programmato né in sede di Recovery né nell’approvanda legge di bilancio. Anzi, è proprio la ‘Missione Salute’ del PNRR a confermare che il divario quantitativo con l’ADI è destinato ad ampliarsi (nel 2026, per ogni 100 euro per l’ADI se ne spenderanno 12 per il SAD), facendo diventare irrealistico l’auspicabile sviluppo di risposte integrate ai bisogni dell’utente.
In assenza di correttivi, dunque, si sta costruendo un sistema di domiciliarità che:
a) asseconderà la progressiva estromissione dei comuni nell’erogazione dell’assistenza domiciliare (estromissione che si sarebbe dovuto evitare per il radicamento dei comuni nel territorio e l’importanza del loro contributo in questo settore);
b) vedrà crescere il numero di anziani assistiti a domicilio, mentre la intensità dell’assistenza rimarrà la stessa di oggi;
c) escluderà dalla sua declinazione l’assistenza continuativa e quella da erogare nel lungo periodo;
d) resterà monca degli interventi di sostegno nelle attività fondamentali della vita quotidiana, che l’utente non è in grado di compiere da solo, e di quelli di supporto ai caregiver e assistenti familiari.
Si sta perdendo l’occasione di introdurre quella riforma dell’ADI che è attesa dalla fine degli anni Novanta ed è stata già sperimentata con successo in altri Paesi dell’Unione Europea, come Austria (dal 1993), Germania (dal 1995), Francia (dal 2002) e Spagna (dal 2006).
In tale prospettiva si ritiene auspicabile:
– superare la separazione fra ASL (ADI) e Comuni (SAD), puntando su uno sviluppo complementare di assistenza domiciliare e residenziale e riorientando tutta la filiera di servizi, in modo da poter rispondere al meglio al ventaglio degli eterogenei bisogni degli anziani;
– promuovere un modulo di erogazione di assistenza domiciliare di natura multidimensionale, partendo da una valutazione complessiva delle condizioni dell’anziano, e dalla individuazione dei vari fattori di fragilità in relazione al contesto di vita, il tipo e il grado di disabilità, motoria e/o cognitiva dell’utente per poi progettare risposte, combinando diverse modalità di intervento;
– introdurre anche in Italia il paradigma della «long term care», l’assistenza continuativa di lungo periodo, già adottato con successo dalle riforme introdotte in Francia, Germania, Spagna e Austria e fortemente raccomandato dalla UE che, alla luce delle rilevate criticità, ha escluso l’ADI dal novero delle politiche dedicate alla non autosufficienza;
– incrementare l’intensità degli interventi, e, segnatamente, il numero di visite domiciliari per utente e la loro durata nel tempo, differenziandole in base alle specifiche situazioni.
Un approccio di riforma dell’Assistenza Domiciliare Integrata nei termini prospettati potrebbe migliorare la capacità dei sistemi tradizionali di gestire la domanda di assistenza, aumentare l’efficienza nell’erogazione dei servizi attraverso un’azione coordinata dei vari attori dei territori e migliorare la qualità di vita delle persone non autosufficienti.