Ponti, non barriere

Ponti, non barriere

L’applicazione di dazi caratterizza la nuova linea politica nordamericana.
È un concetto non nuovo. I dazi si applicavano già nel medioevo per la circolazione di merci e prodotti da un paese all’altro. Ma allora ci si accorse presto che non portavano grande utilità, anzi rallentavano il commercio portando divisioni sociali e maggiore povertà. Fu per questo che si scelse di allentare la presa, dapprima escludendo certe tassazioni in alcuni giorni di festa e poi eliminandole del tutto.
La fase successiva fu quella del mercantilismo, della libertà di azione commerciale. L’applicazione di dazi divenne l’eccezione. La regola era il mercato libero.

E oggi, poi, si parla di mercato globale.
Con l’apertura alla globalizzazione, l’idea di applicare restrizioni alla circolazione dei beni fa riflettere. Anche perché imporre dazi dinanzi a tratte stabili e determinate era più facile. Le moderne dinamiche di mercato, invece, complicano le cose.
Allora invocare barriere al commercio finisce per essere null’altro che uno slogan politico.

Nietzsche ragionava sul passaggio dall’utilità sociale, al quale si ispiravano le comunità in origine, al sentimento morale che porta a demonizzare il vantaggio economico, da boicottare. L’affermazione della morale portava a valorizzare il consenso, l’ingegno, la benevolenza.
Ma vale chiedersi se l’utilità possa in qualche modo sposare la moralità. O se la moralità escluda l’utilità.

La prossima settimana si terrà, a Firenze, una Direzione nazionale dedicata alla politica internazionale, alla ‘geo-politica’. Cercheremo di far comprendere che serve trovare una convergenza di vedute e adottare soluzioni condivise.
La forte frammentazione normativa, nell’economia globale, è un problema.
Un imprenditore italiano, per assicurarsi il controllo del ciclo produttivo, deve investire non soltanto sul prodotto in sé, ma anche sull’ambiente, sull’energia, sulla tutela del lavoratore. Questo vuol dire dover sostenere costi importanti. Non sarà mai realmente competitivo rispetto a un imprenditore che ha sede in uno Stato in cui i procedimenti sono semplificati e chiedono minori garanzie e impegno.

Uno Stato da solo non può far funzionare davvero la macchina economica.
Allora non si punti sui dazi al mercato, ma su un dazio politico, che imponga a tutti gli operatori economici, ovunque essi operino, le stesse responsabilità e le stesse garanzie. Stessi limiti di emissioni nocive, stesse tutele per i lavoratori, ad esempio. Stesse sanzioni per chi viola queste previsioni.

Torna in mente la filosofia di Nietzsche perché oggi sembrano vincere il nichilismo, il fare senza etica e la voglia di autoaffermazione.
Gli Stati Uniti pensano di poter ricavare un vantaggio economico alzando barriere a tutela del proprio mercato interno, ma respirano la stessa aria degli altri, subiscono gli stessi disastri climatici. Soprattutto soffrono come tutti le battute d’arresto di un’economia fintamente globale, che oggi ha bisogno di più etica, prima che di più produttività. Ha bisogno di leader più consapevoli, che sappiano meglio tracciare i fondamenti del vivere civile.
Per raccontare di un mondo diverso da quello in cui viviamo e più vicino a quello che invece vorremmo dobbiamo essere tutti più disposti a mettere da parte il nostro ego, a partire dai potenti. Questi dovrebbero essere maggiormente disposti ad affrontare le vere sfide che toccano l’umanità.
I veri vantaggi sono nella politica globale. Un concetto che merita di trovare concretezza in una nuova opera di dialogo e nell’affermazione della solidarietà sociale e politica.

Apriamo la mente oltre i confini nazionali e diamo un contributo alla crescita di una civiltà coesa.
Unità nelle diversità



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