Prima ancora dell’AI Act, non si trascuri la promozione di un uso responsabile della tecnologia
È da poco entrato in vigore il c.d. AI Act (regolamento UE 2024/1689).
L’Europa fa da apripista per la regolamentazione dell’intelligenza artificiale con un atto normativo ad approccio antropocentrico e, almeno nei principi, volto alla valorizzazione di un uso etico della tecnologia.
Si temeva che questo slancio in avanti dell’Europa avrebbe potuto comportare frizioni con il polo mondiale delle più grandi major che producono sistemi AI impiegati in tutto il mondo, e invece, il 5 settembre scorso, in Lituania ha avuto luogo la sottoscrizione della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa (CETS 225), a cui hanno preso parte altri Stati europei, nonché Santa Sede, Usa, Canada, Messico, Giappone, Israele, Australia, Argentina, Perù, Uruguay e Costa Rica (tra i primi firmatari ci sono Andorra, Georgia, Islanda, Norvegia, Repubblica di Moldova, San Marino, Regno Unito). Sono, inoltre, stati accolti i contributi di 68 organizzazioni internazionali, tra imprese, Università e rappresentanti della società civile.
L’obiettivo europeo è chiaro: bandire i sistemi di intelligenza artificiale che implicano un livello di rischio inaccettabile, in modo da garantire uno sviluppo e un utilizzo eticamente integrati sia con i valori su cui si fonda l’Unione europea che con la Carta dei diritti fondamentali.
Dal punto di vista strutturale, il Trattato si compone di un preambolo e di 36 articoli e mira a garantire che le attività che ricadono all’interno dell’intero ciclo di vita dei sistemi di intelligenza artificiale rispettino i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto. Viene quindi richiesto a ogni parte firmataria di adottare o mantenere in vigore misure legislative, amministrative o di altra natura che siano adeguate a dare attuazione alla Convenzione.
L’innovatività della Convenzione risiede, insomma, nella sua capacità di fissare standard minimi obbligatori, vincolando gli Stati firmatari a prevenire l’uso distorto dell’IA, specie laddove essa possa minacciare la dignità umana o discriminare determinate categorie di persone. Il testo, infatti, fa esplicito riferimento alla necessità di evitare che i sistemi di IA compromettano l’autonomia individuale, introducendo obblighi di trasparenza, sorveglianza e responsabilità che investono non solo gli enti pubblici ma anche i soggetti privati coinvolti.
La firma della Convenzione segna un evento pionieristico verso l’instaurazione di un quadro legale globale che eviti la deriva del sopravvento delle macchine sull’uomo; tuttavia, messi da parte gli entusiasmi del momento non si può non fare una riflessione: l’utenza finale, gli individui sono sufficientemente preparati ad interiorizzare la nobiltà dei principi fissati nella Convenzione?
Non sfugge che la maggior parte delle persone è ormai completamente assorbita dai device e che le giovani generazioni addirittura hanno trovato nella realtà virtuale un vero e proprio rifugio esistenziale fatto di modelli sbagliati, potenzialmente incontrollabile ed esponenzialmente dannoso sia per la dipendenza che induce sia per l’assuefazione ai suoi effetti.
Pertanto, Meritocrazia Italia, pur nella consapevolezza che la firma della Convenzione sia necessaria e che è vitale intervenire prima che l’IA prenda il sopravvento sui diritti fondamentali e sulla democrazia, insiste affinché si parta dal basso della regolamentazione dell’uso dei social, soprattutto tra i più giovani. I nuovi interventi normativi non si arenino sul terreno di un’utenza impreparata e irresponsabile, determinando nei fatti il fallimento delle importanti iniziative che si stanno in questi anni portando a termine.
Stop war.