PUBBLICO E PRIVATO INSIEME PER IL RECUPERO DEL PATRIMONIO ARTISTICO
Nuove prospettive
3.400 musei.
2.100 parchi archeologici.
56 siti Unesco.
Questo il patrimonio artistico e culturale posseduto dall’Italia. Il più grande al mondo. Dono dell’avvicendarsi di popoli e culture nei secoli.
Una ricchezza non adeguatamente valorizzata.
Mancano da sempre organizzazioni stabili di risorse, strutture e reti di comunicazione, come pure disponibilità di competenze tecniche, unite all’impiego di risorse finanziarie o strumentali.
E oggi l’Italia è al penultimo posto (dopo la Grecia) per percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1 % media UE), tanto che soltanto il 32% dei musei italiani (e solo il 19% di quelli con meno di mille ingressi annui) usufruisce di contributi pubblici.
Mancano cure adeguate, operazioni di restauro, di riemersione, di controllo efficace e attento sullo stato di conservazione del patrimonio.
Mancano sia pur minime attenzioni.
E ciò probabilmente per due fattori. Certamente l’ampia distribuzione su tutto il territorio nazionale ha reso difficile il coordinamento degli interventi, ma ancor di più ha inciso in negativo l’assenza di riscontro economico adeguato, dovuto in primis all’incapacità di trasformare il patrimonio artistico in una stabile risorsa reddituale.
Qualcosa può e deve cambiare.
Il Next Generation EU destina oltre sei miliardi di euro alla Cultura, attraverso le misure raccolte all’interno della Missione 1 del Testo, alla voce «digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura», finalizzate a incrementare il livello di attrattività del sistema culturale e turistico del Paese.
La cifra è assolutamente considerevole, ma ancora insufficiente a colmare il gap con Francia e Regno Unito, per considerare i Paesi più vicini.
Riconosciuto il valore economico della Cultura, resta da fare un ulteriore e fondamentale passo, ovvero acquisire la consapevolezza che i privati potrebbero dare un importante aiuto proprio investendo nel patrimonio artistico nazionale. Introdurre, dunque, forme di gestione di beni culturali che vedano la partecipazione dei soggetti privati in un settore tradizionalmente pubblico costituisce necessità non più rinviabile.
Questa forma di partecipazione è consentita dal piano normativo vigente (artt. 9 e 117 cost. e art. 3, comma 1, Codice dei Beni Culturali), che pone soltanto un vincolo alla destinazione del patrimonio culturale di appartenenza pubblica, ovvero la fruizione della collettività.
La cooperazione tra pubblico e privato può essere decisiva per riunire all’interno delle strutture d’arte processi di benessere e soddisfazione delle nuove esigenze dei pubblici e di agire per questi obiettivi in modo da ottenere il massimo risultato dai propri mezzi.
Per consentire l’adozione di strategie innovative, piani economici e business model capaci di generare entrate che completano le risorse messe a disposizione p.a., è opportuno agevolare progetti di facility management, eventi collaterali e paralleli a pagamento, dal prestito delle opere alle sponsorizzazioni ordinarie e tecniche, dalle opportunità offerte dai bandi pubblici e dedicati (europei e nazionali) e dall’Art Bonus al Corporate fundraising.
Il coinvolgimento interattivo delle imprese private attraverso partnership creative e funzionali a obiettivi reciproci è pratica favorevole in un momento storico in cui la maggior parte delle aziende hanno necessità di reinventarsi.
Da una parte il patrimonio artistico, con la possibilità di accedere a contributi economici, dall’altra le PMI che si ritrovano strumenti strategici su obiettivi misurabili inediti ed efficaci.