QUALE FISCO PER L’AMBIENTE?
Chi inquina paga
L’esigenza di tutela dell’ambiente impone di spingere l’acceleratore per raggiungere la meta più in fretta.
I tributi ambientali sono stati ritenuti uno strumento utile sia come mezzo di correzione degli errori commessi, sia con funzione deterrente rispetto a condotte irresponsabili.
In ossequio al principio del ‘chi inquina paga’, con i tributi ambientali si cerca di ristabilire un giusto prezzo, aggiungendo ai costi di produzione e di mercato quelli dell’inquinamento.
Il sistema di tutela ambientale mediante il fisco cominciò a prendere forma nel 1991, quando, nelle conclusioni tenute per la Conferenza UNCED dal Consiglio dei Ministri dell’Ambiente, fu dichiarato che, «Al fine di realizzare la necessaria ridistribuzione delle risorse economiche per il conseguimento dello sviluppo sostenibile, tutti i costi sociali ed ambientali devono essere incorporati nelle attività economiche, internalizzando i costi ambientali esterni. In altre parole, i costi ambientali e gli altri costi connessi con uno sfruttamento sostenibile delle risorse naturali e sostenuti dal paese fornitore devono essere riflessi nelle attività economiche. Gli strumenti economici e fiscali potrebbero far parte delle misure atte a raggiungere questo obiettivo».
Fu dato così nuovo slancio alla fiscalità ambientale, sollecitando un cambio d’atteggiamento da parte di produttori e consumatori.
A distanza di trent’anni, non si può ancora dire, però, se i risultati attesi e desiderati siano davvero stati raggiunti.
Il presupposto del tributo ambientale è lo svolgimento di un’attività che abbia un impatto negativo sull’ambiente; il ricavato del pagamento del tributo dovrebbe essere impiegato per il ripristino dell’equilibrio turbato.
Sono tre i tipi di tributi ambientali previsti.
Le imposte di copertura dei costi sono quelle tasse destinate a coprire le spese dei servizi ambientali e delle misure di riduzione delle emissioni, e possono essere tasse di incentivazione, destinate a modificare il comportamento dei produttori e/o dei consumatori, o misure fiscali ambientali, destinate in primo luogo ad aumentare il gettito.
I tributi ambientali devono essere volti non solo al conseguimento di benefici direttamente ambientali, ma (auspicabilmente) anche al miglioramento di politiche in ulteriori settori quali innovazione e competitività, occupazione e sistema. L’aumento di gettito fiscale può essere usato per migliorare la spesa ambientale e/o per ridurre altri tipi di tributi.
Intanto vi è la certezza, come risulta da una recente ricerca, che l’Italia è tra i Paesi dell’Unione con le tasse ambientali più elevate, sia in valore assoluto che per il peso rispetto al Pil nazionale.
Di queste risorse però, solo una minima parte viene realmente investita in iniziative di tutela ambientale; gli unici tributi impiegati in questo modo sono quelli sull’inquinamento e l’estrazione delle risorse naturali. L’Italia ha scelto di destinare in prevalenza i proventi a terremoti, missioni internazionali di pace e altre emergenze di finanza pubblica.
Il pensiero merita di essere rivolto anche verso obiettivi comuni di conservazione di un ambiente sano e di rivalutazione di territori inquinati, proprio attraverso l’attuazione del principio del ‘Chi inquina paga’, che impone equilibrio e idoneità al conseguimento del risultato prefissato per il caso di destinazione a spese relative a esigenze non strettamente ambientali.