REATI COMMESSI DAI MINORI
Rieducazione e logiche della giustizia riparativa
La giustizia penale minorile rappresenta da sempre terreno particolarmente impegnativo, sia per il legislatore sia per i giudici e il personale che opera nel settore: la necessità di tutelare al massimo giovani e giovanissimi complica le procedure, rendendo i rapporti più delicati e le scelte più difficili.
Il principio alla base del processo minorile, infatti, è sempre quello del migliore e preminente interesse e della speciale protezione del minore; questo porta a imporre un forte limite a interventi punitivi e a politiche meramente repressive, aprendo a forme di giustizia ‘costruttiva’, liberanti e responsabilizzanti, come previsto dalla Convenzione di New York (CRC) e dall’insieme delle fonti internazionali che auspicano appunto un ‘ruolo costruttivo’ della giustizia minorile.
Solo alla luce di questi presupposti culturali e giuridici, possono comprendersi i tanti strumenti di protezione tipici del processo minorile.
Il punto centrale è il ricorso estremamente parsimonioso alle sanzioni penali classiche, in favore di misure non repressive di carattere educativo il cui obiettivo è la responsabilizzazione del reo, da attuare con strumenti educativo-promozionali: obiettivo del procedimento penale è quello di garantire al minorenne autore del reato un trattamento non discriminatorio, rispettoso, sensibile e finalizzato sempre alla sua rieducazione e al suo reinserimento sociale.
Per tale ragione ci si avvale di un rito peculiare che presenta numerose differenze rispetto alle caratteristiche tipiche del sistema processuale penale italiano: la giovane età degli imputati, l’evoluzione in corso del loro carattere, la natura dei reati commessi, spesso legata anche ai percorsi di crescita e sperimentazione di sé propri dell’adolescenza, hanno giustificato una legislazione che si è potuta discostare dai binari ordinari, realizzando il dettame costituzionale di una speciale protezione della persona di minore età, anche nel contesto della giustizia penale.
Questa impostazione ha permesso al legislatore, cioè, di immaginare con maggiore facilità istituti rispondenti a una logica diversa rispetto al rito ordinario e in cui l’attenzione ai bisogni particolari del minorenne – che rappresenta uno dei modi attraverso i quali lo Stato è chiamato dalla Costituzione a ottemperare ai suoi compiti di cura degli adolescenti – impone di strutturare la procedura giudiziaria secondo canoni di minima lesività per la persona imputata, senza trascurare che la trasgressione della norma penale – e con essa la violazione della fiducia che costituisce il tessuto connettivo della comunità – impone comunque la tutela del bene offeso e della persona che ne è titolare sia pure con alcune pesanti limitazioni (ad esempio l’impossibilità di costituirsi parte civile nel processo minorile).
Le pratiche della giustizia riparativa rispondono adeguatamente a questa logica rieducativa, perché possono dispiegarsi negli spazi extraprocessuali della vicenda senza intaccare la cornice delle logiche che mirano invece all’accertamento dei fatti e delle responsabilità penali.
Si tratta di modelli di giustizia più partecipativi, piuttosto intesi a riconciliare e risanare il conflitto generato dall’illecito, talora con possibilità di eliminazione o riduzione dell’offesa. Il momento dialogico e relazionale è essenziale tra le parti interessate, perché il dialogo può e deve rappresentare un momento di forte responsabilizzazione per l’adolescente, che deve essere aiutato a diventare un soggetto consapevole delle conseguenze provocate dal suo comportamento.
Sebbene il legislatore italiano non abbia previsto una disciplina che regoli l’accesso di tali percorsi nell’ambito della giustizia minorile (fatto salvo il tentativo della l. delega n. 203 del 2017), questo non ha impedito la nascita e la diffusione sul territorio di sperimentazioni e progetti, alcuni dei quali si sono stabilizzati e si sono trasformati in servizi stabili di giustizia riparativa.
Le iniziative, però, restano circoscritte a livello locale e la laconicità del dato normativo non aiuta.
Una regolazione è indispensabile, perché questa forma di giustizia possa conoscere maggiore diffusione, in un’ottica che non sia solo repressiva, ma soprattutto rieducativa del minore, al fine di agevolare il suo reinserimento all’interno della società civile, allineandolo con i valori della convivenza civile.