REPORT SUL SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO IN BASILICATA
Il Sistema Penitenziario Italiano vive un forte momento di crisi.
La recente emergenza sanitaria ha peggiorato lo stato di cose, ma bisogna ricordare che le relative problematiche già erano messe in luce dalla celeberrima sentenza Torreggiani. Il caso, come è noto, riguardava trattamenti inumani o degradanti subiti da sette ricorrenti, detenuti per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione. Nel 2003, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) condannava l’Italia al risarcimento per condizioni di reclusione ritenute “inumane e degradanti”, in violazione dell’art. 3 Carta Cedu.
Accendeva i riflettori sulla situazione delle carceri italiane.
Ad oggi, purtroppo, poco è cambiato: l’Italia detiene il tasso di sovraffollamento carcerario più elevato nell’area dell’UE. Un problema cronico.
Le statistiche più recenti del Ministero della Giustizia e delle fonti Istat, aggiornate al 28 febbraio 2021, non evidenziano segnali di miglioramento, con oltre 3.000 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare, di circa 50.000 posti. Dunque un tasso di sovraffollamento del 106% (106 detenuti ogni 100 posti disponibili) o, meglio, del 115%, secondo il Rapporto XVII della Fondazione Antigone, se si considera che i dati ufficiali conteggiano come aperti anche i reparti momentaneamente chiusi, con ampie differenze tra le regioni e con record tristemente negativi soprattutto per il Friuli Venezia Giulia e per la Lombardia.
Dette percentuali rendono sono incompatibili con la tutela della dignità dell’individuo e il rispetto del principio rieducativo e di umanità della pena di cui all’art. 27 cost.
Per quanto attiene la situazione carceraria in Basilicata, occorre precisare che, nel distretto di Potenza, sono presenti un Istituto Penale per Minorenni (IPM), una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) e tre case circondariali dislocate tra Potenza, Matera e Melfi.
Dal 27 ottobre 2015 è stata invece chiusa, con decreto ministeriale, la casa circondariale di Sala Consilina perché ritenuta non economicamente conveniente per le dimensioni, potendo accogliere meno di 50 detenuti.
Il circondario di Lagonegro risponde, per questo, alla detenzione nel carcere di Castrovillari (in Calabria), in quello di Salerno (in Campania) o in quello di Potenza, con notevoli disagi per Magistrati e cancellieri, e con rilevante dispendio economico per tutti.
In riferimento al decorso anno 2018-19, tranne che nella casa circondariale di Potenza (nel quale, per lavori di ristrutturazione, è stato chiuso il reparto detentivo giudiziario), permane il problema del sovraffollamento carcerario, pur essendo comunque assicurato lo spazio minimo irrinunciabile per ciascun ristretto (mq. 3) e la permanenza fuori della camera detentiva per almeno 8 ore al giorno. Mancano inoltre i c.dd. braccialetti elettronici per eseguire la misura degli arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere, che potrebbero essere un utile strumento di efficace deflazione delle presenze in carcere dei giudicabili.
L’Ufficio di Sorveglianza, chiamato a vigilare sulla organizzazione degli istituti di pena, ha segnalato tempestivamente al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e al Provveditorato Regionale per le Regioni Puglia e Basilicata, gli aspetti di maggiore preoccupazione, quali le condizioni igienico sanitarie e la difficile gestione dell’ordine e della sicurezza per la carenza di personale.
La condizione di sovraffollamento comporta, infatti, un aumento dei comportamenti reattivi dei reclusi, talché alla data del 31 agosto 2019, nella Casa circondariale di Potenza, risultano 6 aggressioni fisiche al personale di polizia penitenziaria; n. 1 oltraggio a p.u.; 27 manifestazioni di protesta attuate da singoli detenuti (rifiuto vitto amministrazione e/o terapie); 13 atti di autolesionismo; 13 atti di aggressione (colluttazione tra detenuti per incompatibilità reciproche e/o tentativi di sopraffazione). Nella casa circondariale di Matera sono stati registrati invece 19 atti di violenza, 16 di autolesionismo (solo 6 nel 2017-18) e 68 scioperi della fame (tutti di breve durata ma in aumento rispetto all’anno precedente, nel quale se ne contavano n. 42). Nella casa circondariale di Melfi, infine, si segnalano, nel periodo in valutazione, 2 episodi di violenza, 1 gesto di autolesionismo, 5 episodi di sciopero della fame (7 nel 2017-19), nessun episodio eteroaggressivo e nessun tentativo di suicidio (2 nel 2017-18).
Nelle tre case circondariali, la maggior parte dei detenuti presta attività lavorativa nei servizi interni (pulizia, manutenzione ordinaria, etc.). Si vanno consolidando i corsi di formazione professionale, nonostante gli sgravi fiscali e le agevolazioni previdenziali ex l. 9 agosto 2013, n. 94.
Permane, tuttavia, lo stato di profonda crisi del lavoro penitenziario, non solo per la mancanza di commesse, ma anche per la mancanza o insufficienza di spazi per lavori esterni o per la presenza di strutture che necessitano di urgenti interventi di ristrutturazione e manutenzione straordinaria. Si dovrebbe pertanto dare impulso, come già auspicato in passato, alle attività occupazionali dei detenuti, favorendo, anche nell’ottica dell’art. 47, d.P.R. n. 230/2000, l’offerta di lavoro di realtà imprenditoriali pubbliche e private e, in particolare, delle cooperative sociali che possono beneficiare di sgravi fiscali e di agevolazioni previdenziali, o di credito d’imposta mensile nella misura massima di settecento euro per ogni lavoratore, se assumono lavoratori detenuti per un periodo di tempo non inferiore ai trenta giorni (come previsto dalla legge del 9 agosto 2013, n. 94, che ha modificato l’art. 3, l. 22 giugno 2000, n. 193, volta a favorire l’attività lavorativa dei detenuti).
Nell’ottica del sostegno all’inserimento dei condannati in misura alternativa nel mondo produttivo, vanno segnalate altresì le linee di intervento (Regione Basilicata, Ministero della Giustizia, Fondo Sociale Europeo) per l’inclusione sociale e lavorativa dei soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria nel territorio regionale, rese operative attraverso lo strumento di tirocini formativi. Per la riuscita dell’intervento, sarebbe necessario anche il contributo ed il coinvolgimento attivo di associazioni di categoria, sia dei datori di lavoro che dei lavoratori, nonché la partecipazione delle associazioni delle cooperative sociali, le quali possono beneficiare di sgravi contributivi.
Nella casa circondariale di Potenza, ad esempio, per l’anno scolastico 2019/2020, sono stati attivati corsi di alfabetizzazione primaria, di scuola media inferiore e di scuola alberghiera.
Fino al giugno 2019, si sono svolti con successo numerosi corsi scolastici di formazione professionale (piccola manutenzione, pizzaiolo con sistema di take-away gestito da cooperativa sociale per il trasporto delle pizze a domicilio, operatore per allestimento scenico, olii essenziali, giardiniere vivaista, estetista), oltre alle attività ricreative e culturali, il tutto anche con la collaborazione delle Associazioni esterne, della Associazioni di volontariato (Caritas, Gruppo Vincenziano) e del UEPE.
Nonostante le criticità per carenza del personale necessario, nella Casa Circondariale di Matera sono state invece garantite le attività trattamentali programmate, le attività scolastiche istituzionali e non, i corsi di formazione professionale (funghi freschi, gadget sartoriali, prodotti da forno, edilizia/pitturazione, manutenzione verde/creazione di giardini), i laboratori teatrali e culturali e le attività sportive e ricreative. Le attività lavorative interne all’istituto impegnano 36 detenuti. Sono in atto collaborazioni con la Caritas Diocesana, con l’Università di Bari e con Associazioni di volontariato locali e, dal gennaio 2017, è attivo uno staff multidisciplinare finalizzato all’elaborazione di strategie miranti alla prevenzione di suicidi ed alla pianificazione di interventi a supporto di criticità comportamentali e personologiche.
A Pisticci (provincia di Matera), in attuazione della l. n. 8 del 30 maggio 2014 (di conversione del d.l. n. 52 del 31 marzo 2014, che ha modificato la disciplina delle misure di sicurezza detentive psichiatriche in relazione all’an e al quantum), è attiva dall’1 aprile 2015 la R.E.M.S., una struttura residenziale socio-sanitaria al cui interno si esplicano funzioni terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative in favore di soggetti affetti da patologie psichiatriche. Nell’anno in corso, la struttura ha ospitato 12 internati.
Tenendo anche conto che il sovraffollamento in tempi di Covid e le conseguenti restrizioni impattano negativamente anche sulle attività culturali e ricreative e sulle visite, rendendo ancor più il carcere un luogo di isolamento e di sofferenza, condizione inaccettabile per una democrazia moderna, nell’ottica del giusto equilibrio tra la pretesa punitiva dello Stato e quella rieducativa e risocializzante della pena, sarebbe necessario un nuovo piano strutturale volto a:
– favorire investimenti cospicui nell’edilizia carceraria, con ristrutturazione degli edifici esistenti e riconversione in istituti di pena edifici dismessi e realizzando nuovi immobili all’uopo destinati;
– ampliare l’organico del personale operante all’interno delle strutture, con immediata copertura delle vacanze;
– operare una seria riforma dell’ordinamento penitenziario, calibrata sul proposito di recupero del detenuto, nel rispetto dell’art. 27 cost. e della Convenzione EDU, riaffidando centralità alla persona, da rieducare alla legalità e da reinserire socialmente al termine del percorso detentivo;
– effettuare un intervento incisivo sulle misure alternative alla detenzione, ampliandone l’ambito di applicazione e soprattutto, al fine di renderle concretamente efficaci, rafforzare le strutture territoriali di sostegno e controllo, dagli Uffici Esecuzioni Penali distrettuali ai Servizi Sociali ed alle Forze dell’Ordine;
– riassegnare effettività alla ‘presunzione di innocenza’, fondamentale principio di civiltà che, fatta salva la sussistenza dei presupposti richiesti dal Codice di rito, rende la misura cautelare custodiale in carcere (applicata, quindi, durante il corso del procedimento penale in assenza di condanna passata in giudicato) l’extrema ratio, alla quale far ricorso solo ed esclusivamente nei casi in cui non siano effettivamente possibili altre soluzioni meno afflittive;
– riadeguare il sistema delle misure cautelari alle concrete esigenze di prevenzione e di giustizia, sgomberando il campo da pericolose derive.
La tutela della dignità umana non ammette inflessioni, fuori e dentro le mura carcerarie.
Fonti:
-RELAZIONE PER L’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2020
ASSEMBLEA GENERALE – POTENZA, 1 febbraio 2020
– Istat