RESPONSABILITA’ DEI SINDACI E DEI REVISORI CONTABILI NEI REATI TRIBUTARI
La responsabilità penale dei professionisti esercenti attività di consulenza per conto di imprese o società proprie clienti, è da sempre al centro del dibattito dottrinario.
Un’altra questione, altrettanto spinosa, nell’ambito del diritto penale tributario, relativa ai possibili profili di responsabilità penale del professionista medesimo a titolo di concorso con il proprio cliente, è quella derivante da reati ‘propri’, ovvero per illeciti commessi in qualità di sindaco o componente di altri organi di controllo societario, va chiarito che in questa sede ci si limiterà ad affrontare.
Non può, escludersi, che il professionista possa essere chiamato a rispondere a titolo di concorso per il reato commesso dal proprio cliente non soltanto a titolo di ‘dolo diretto’ nel caso in cui sia provato che lo stesso abbia dato intenzionalmente un qualsiasi contributo causale, di tipo materiale o morale, alla realizzazione del fatto delittuoso del cliente, agevolandone la condotta o determinandone o rafforzandone la volontà con un proprio comportamento cosciente e volontario, ma anche a titolo di ‘dolo eventuale’ allorché si sia rappresentato in concreto la possibile realizzazione del fatto criminoso e, nonostante tale previsione, abbia agito ugualmente prestando il proprio contributo.
Da sempre sotto la lente d’ingrandimEnto di dottrina e giurisprudenza sono i compiti, i doveri e le responsabilità dei ‘controllori’ delle imprese, ovvero: dei collegi sindacali e dei soggetti incaricati della revisione legale dei conti.
Il collegio sindacale è un organo che fa parte della governance delle società, ciò comporta la responsabilità in solido con gli amministratori (art. 2407 c.c.).
I sindaci hanno, quindi, l’obbligo di partecipare ai consigli di amministrazione, possono procedere a ispezioni e controlli e possono chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali e su determinati affari.
Il revisore, invece, è un professionista (o una società) che svolge un incarico professionale in relazione al bilancio di esercizio e al bilancio consolidato; pertanto, la responsabilità del revisore è limitata al bilancio. Va precisato, quindi, che il revisore interviene in un secondo tempo, mentre il collegio sindacale partecipa alla vita della società.
Quindi, in linea generale, la responsabilità del collegio sindacale è più ampia in quanto riferita all’intera attività della società: mentre, in materia di bilancio la responsabilità del revisore è più diretta e specifica e, pertanto, se il collegio sindacale, legittimamente, ha fatto affidamento sul lavoro e sui controlli del revisore, la responsabilità di quest’ultimo può essere maggiore. Il controllo del collegio sindacale è sempre di legittimità: in tal senso sono chiare le norme di comportamento del collegio sindacale emanate dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, secondo cui al collegio sindacale non compete un controllo di merito sull’opportunità e la convenienza delle scelte di gestione degli amministratori, ma compete un controllo di legittimità sostanziale e di rispetto delle procedure e/o prassi operative. Questo consente al collegio interventi preventivi o sostitutivi esclusivamente nel caso in cui le conseguenze delle delibere appaiano pregiudizievoli per la società.
I sindaci devono avere cognizione e vigilare sulla corretta e appropriata formazione del procedimento decisionale degli amministratori, ma non sono tenuti a valutare la convenienza delle scelte gestionali, compito primario dell’organo amministrativo.
Non si deve dimenticare che, per sindaci e revisori, esiste l’obbligo di reciproco, tempestivo, scambio di informazioni sancito dall’art. 2409 septies c.c. Per esempio, se il revisore rileva che alcune operazioni non sono state contabilizzate correttamente deve informare il collegio sindacale, in quanto la verifica del bilancio è un compito che la legge affida al soggetto incaricato della revisione. Inoltre, il revisore controlla le valutazioni delle attività e passività che gli amministratori effettuano nel bilancio, mentre il collegio sindacale è chiamato a svolgere sul bilancio d’esercizio l’attività di vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto.
In sostanza, al collegio sindacale spetta il controllo sull’osservanza, da parte degli amministratori, delle norme procedurali inerenti alla formazione, deposito e pubblicazione, non dovendo effettuare controlli analitici di merito sul contenuto del bilancio, né esprimere un giudizio sulla sua attendibilità. Le norme di comportamento concludono che il collegio sindacale non ha alcun obbligo di eseguire procedure di controllo per accertare la verità, correttezza e chiarezza del bilancio. [Tribunale di Roma, 20 febbraio 2012 n. 2730; Tribunale di Milano, 13 novembre 2006]
Anche con riferimento al bilancio consolidato, per il collegio sindacale non è previsto alcun obbligo di relazione e neppure di formale espressioni di giudizio, che sono invece richiesti al revisore legale. Invece, se il collegio sindacale rileva che alcune decisioni prese dagli amministratori non sono conformi alla legge o allo statuto deve fornire tempestivamente l’informazione al revisore.
La responsabilità penale degli organi di controllo nelle s.p.a.
Il nuovo assetto civilistico introdotto dalla riforma del diritto societario per gli organi di controllo pone evidenti interrogativi in ordine ai riflessi che tali modifiche comporteranno sulla configurabilità e sull’ampiezza di posizioni di garanzia penalmente rilevanti.
La posizione di garanzia dei componenti degli organi di controllo
Per quanto, in particolare, concerne gli organi di controllo, l’interrogativo principale pare concernere l’incidenza del nuovo ‘assetto’ degli organi di controllo sulla possibilità di fare ricorso alla figura del reato omissivo improprio, che fino ad oggi ha permesso un’ampia (e spesso – come si chiarirà – ingiustificata) estensione ai sindaci della responsabilità penale in relazione a reati commessi dagli amministratori.
Com’è noto, infatti, prendendo le mosse dal disposto dell’art. 2403 c.c., che prevede un obbligo di vigilanza sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo e dell’art. 2407 c.c., che introduce una responsabilità in solido con gli amministratori, «per i fatti e le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica», si è individuata una posizione di garanzia dei sindaci, rilevante nella prospettiva dell’art. 40, comma 2, c.p., volta al controllo dell’attività degli amministratori e all’impedimento di reati da parte degli stessi.
La posizione di garanzia in parola, in quanto relativa alla gestione sociale stricto sensu, e non alla gestione dell’impresa sociale, come chiarito dall’art. 2403 c.c., che fa riferimento (nella vecchia, ma anche nella nuova formulazione) al controllo dell’amministrazione della società, avrebbe dovuto limitarsi ai reati propri degli amministratori e non avrebbe dovuto, invece, estendersi ai reati comuni; tutt’al più avrebbe potuto ritenersi idonea ad abbracciare i reati tributari, in considerazione del disposto di cui all’art. 8, comma 5, d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui «la dichiarazione delle società e degli enti soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, presso le quali esiste un organo di controllo, deve essere sottoscritta anche dalle persone fisiche che lo costituiscono o dal presidente se si tratta di organo collegiale».
La figura del dolo eventuale
A partire dagli anni ’80, la giurisprudenza ha fatto ampio ricorso alla figura del dolo eventuale, dilatandone notevolmente le possibilità applicative, e ciò sotto più punti di vista: infatti, mentre, da un canto, si è estesa la responsabilità dei sindaci anche a reati diversi da quelli “propri” degli amministratori, dall’altro, e soprattutto, si è operata una inaccettabile trasfigurazione di un coefficiente colposo, quale la violazione di obblighi di controllo, in dolo, esito che è stato reso possibile da un disinvolto impiego della figura del dolo eventuale.
Il dolo, infatti, ha finito per essere argomentato o presunto dall’inadempimento dei doveri di vigilanza e di controllo: in particolare l’avere del tutto trascurato certe attività, l’assenteismo più o meno totale, il non curarsi di segnali d’allarme, pur percepiti, è stato ritenuto sufficiente a fondare «un addebito di dolo rispetto agli illeciti commessi dagli organi di gestione non assoggettati a controllo», in quanto attestante «l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento, non voluto, ma previsto come possibile».
Sembra quindi naturale interrogarsi su quali potranno essere le conseguenze sulla situazione sopra descritta della entrata in vigore della nuova disciplina e quindi delle modifiche che verranno a subire i poteri/doveri del collegio sindacale.
Va infatti considerato che l’art. 40, comma 2, c.p. permette l’equiparazione del «non impedire un evento» al «cagionarlo» solo in presenza di un dovere giuridico d’impedimento.
La ‘sottrazione’ del controllo contabile al collegio sindacale
I sindaci sono organo di controllo dotato di ampi poteri/doveri d’intervento (cfr. artt. 2403 bis, 2406 e 2409 c.c.), che possono risultare idonei ad impedire (assumendo quindi rilevanza ex art. 40, comma 2, c.p.) la commissione di reati che in ipotesi emergano essere in corso di esecuzione anche attraverso l’esame della contabilità: e il potere, nella prospettiva del reato omissivo improprio, «segna anche il limite della garanzia dovuta».
La conclusione è che la sottrazione degli obblighi di controllo contabile non ha estromesso la corretta tenuta della contabilità dalla sfera oggetto della posizione di garanzia dei sindaci, essendosi, invece, limitata ad incidere sulle modalità di svolgimento – con riferimento appunto alla corretta tenuta della contabilità – del ruolo di garanzia.
I sindaci, infatti, non sono più tenuti ai compiti di verifica della contabilità fino ad oggi previsti dall’art. 2403 c.c., e dalla riforma trasferiti agli organi di controllo contabile (cfr. art. 2409 ter c.c.).
L’introduzione di un organo tecnico di controllo contabile
Non così nel settore penale. Gli illeciti che vengono in considerazione nell’ambito del diritto penale societario sono infatti in gran parte dolosi. In sostanza, dall’esegesi delle riforme in esaminate, nulla sembra cambiare, almeno da un punto di vista astratto, rispetto al passato: in realtà ciò che potrà mutare – com’è auspicabile avvenga – sarà solo il concreto atteggiamento della giurisprudenza.
Il ruolo attribuito ai revisori
Per quanto invece attiene ai revisori (si tratti del revisore contabile, o dell’amministratore o dei soci responsabili della revisione nelle società di revisione), si ritiene che essi non possano essere considerati titolari di una posizione di garanzia, penalmente rilevante ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p., e ciò in quanto, a differenza dei sindaci, non sono dotati di significativi poteri d’intervento, volti (anche) all’impedimento di reati.
I responsabili della revisione, quindi, sono titolari non tanto di un obbligo di garanzia (suscettibile di generare una responsabilità a titolo di concorso, ex art. 40, comma 2, c.p., nel reato ‘non impedito’), quanto di un semplice obbligo di sorveglianza, la cui violazione assume rilevanza penale solo nei casi in cui sia presa in considerazione da uno specifico reato.
Ovviamente, quanto rilevato non esclude la possibilità di un concorso con un contributo attivo, e cioè a titolo commissivo, nei reati eventualmente posti in essere dagli organi di gestione: ciò che si verificherà, in particolare, allorquando i revisori forniscano un contributo psicologico, assicurando, prima della consumazione di tali reati, che gli stessi non verranno portati alla luce nelle proprie relazioni e comunicazioni.
Concludendo
Responsabilità penale dei sindaci
I sindaci sono responsabili, direttamente ovvero in concorso con gli amministratori anche penalmente nei casi previsti dalla legge. È altresì possibile un concorso di responsabilità tra sindaco e collaboratore. La responsabilità penale dei sindaci cessati dall’incarico permane sino al momento della loro effettiva sostituzione. È stato abrogato l’obbligo disposto dal previgente art. 2642 c.c. , da parte del cancelliere dell’Autorità giudiziaria, di comunicare ogni sentenza penale a carico dei sindaci per reati commessi nell’esercizio o a causa del loro ufficio all’organo che esercita la funzione disciplinare sugli iscritti all’albo professionale per eventuali provvedimenti disciplinari (art. 1, d.lg. 11 aprile 2002, n. 61).
La condanna alla reclusione non inferiore a sei mesi comporta per i sindaci l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi (art. 32 bis c.p.).
Reati in concorso con gli amministratori (art. 2407 comma 2, c.c.)
I sindaci rispondono dei reati commessi dagli amministratori quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità agli obblighi derivanti dalla carica. Vale quindi la norma generale che per l’accertamento della responsabilità richiede il dolo, cioè l’evento dannoso preveduto e voluto come conseguenza dell’azione od omissione (art. 43 c.p.) o anche il mancato impedimento di un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (art. 40 c.p.).
Sono esenti da responsabilità i sindaci che:
• assolvono diligentemente ai doveri di controllo previsti dalla legge;
• assolvono al dovere di vigilare sull’attività degli amministratori;
• in caso di omessa o ingiustificato ritardo nella convocazione dell’assemblea, da parte degli amministratori, convocano l’assemblea ovvero convocano l’assemblea se ravvisano fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere (art. 2406 c.c.);
• impugnano le delibere del consiglio di amministrazione che possono recare danno alla società (art. 2391 comma 3, c.c.).
Responsabilità fiscale – Omessa sottoscrizione della dichiarazione dei redditi (art. 9, comma 5, d.lg. n. 471 del 1997)
I sindaci devono sottoscrivere la dichiarazione dei redditi della società e la dichiarazione annuale Iva. In mancanza della sottoscrizione si applica la sanzione amministrativa da 258,23 a 2.065,83 euro. I sindaci rispondono penalmente se concorrono in modo attivo e doloso alla realizzazione di reati fiscali. Diversamente i sindaci sono responsabili direttamente e autonomamente solo dei reati fiscali conseguenti all’inadempimento dei loro doveri di controllo e vigilanza e che hanno contribuito a commettere, per esempio dichiarazione fiscale infedele per contrasto con le risultanze contabili.
Di Mimmo Napoletano