Rivoluzione telematica nelle Università

Rivoluzione telematica nelle Università

Gli esamifici non servono

Le importanti riforme proposte per le Università telematiche, che impongono una uniformità qualitatica agli standard degli Atenei pubblici, rievocano uno storico dibattito che riflette, da un lato, il tradizionalismo e, dall’altro, l’estrema digitalizzazione contemporanea.
La proposta di modifica dei requisiti didattici, avanzata dal Ministro dell’Università e della Ricerca, con decreto n. 1154 del 14 ottobre 2021, seguito dal decreto direttoriale n. 2711 del 22 novembre 2021, sarà oggetto di verifica attuativa il 30 novembre 2024. L’obiettivo è quello di aggiornare i criteri di autovalutazione, valutazione ed accreditamento iniziale e periodico di sedi e corsi di studio, al fine di garantire qualità maggiore della didattica e dei servizi erogati, anche attraverso il raggiungimento di una proporzione tra classe docenti e studentesca.

La Riforma sottende l’esigenza di un equilibrio improntato all’ascolto di plurime esigenze, che tuteli il preminente interesse alla formazione e informazione professionale degli studenti, azzerando l’ipotetico divario tra percorsi universitari.
Gli innumerevoli vantaggi, sia in termini di sostenibilità economica che di gestione spazio-temporale, che conducono alla concezione del telematico come risorsa, sottendono rilevanti fragilità, cui consegue il rischio di scarso coinvolgimento ed alienazione personale.
In particolare, la modalità smart education agevola l’accesso alla formazione senza dispendioso investimento in alloggi e/o spostamenti, concedendo ai più di raggiungere un’aula virtuale con un semplice click, consente l’organizzazione dell’apprendimento e dello studio in piena autonomia e spalanca le porte anche ai lavoratori. A risentirne, però, sono il confronto e il dialogo formativo, riducendo drasticamente le interazioni non virtuali.

Non vanno sottovalutate, dunque, le utilità del ricorso alla tecnologia nella costruzione dei percorsi formativi.
Del resto, si sa che il fenomeno è in forte espansione.
L’ANVUR, con il Rapporto sul Sistema della Formazione Superiore e della Ricerca per l’anno 2023, ha analizzato il fenomeno in termini statistici, considerando il decennio intercorso dal 2010/11 al 2021/22, complice l’emergenza pandemica da Covid-19 che ha imposto lo svolgimento di corsi ed esami in modalità interamente telematica. In particolare, si riscontra un aumento del 4,5%, in un solo decennio, della percentuale di studenti che decidono di abbandonare l’Università tradizionale per conseguire il titolo di studio.
La probabilità di conseguimento del titolo di laurea di I livello entro i tre anni, difatti, risulta maggiore presso un Ateneo interamente digitalizzato (44,8%).

Consentire di accedere ai corsi universitari anche a chi non potrebbe permettersi di partecipare alle attività didattiche in presenza, per ragioni d’età, di diversa abilità, di marginalizzazione geografica, di impegni professionali o di obblighi di assistenza ad anziani o minore vuol dire favorire l’inclusione formativa e la più equa distribuzione delle opportunità.
Perché nessuno resti indietro.

Per altro verso, però, la realtà delle Università telematiche italiane poco sembra rispondere a questi propositi, non garantendo i medesimi livelli qualitativi della formazione offerta in Atenei a dirsi tradizionali.
Il ricorso al virtuale non deve comportare anche la definitiva compromissione dei rapporti umani e del dialogo diretto fra studenti e con docenti e tutor, fondamentali per assicurare reale guida e supporto nel percorso di studi che porta alla laurea. Né si deve trascurare la necessità di dotare il sistema di apprendimento di meccanismi adeguati a completare lo studio teorico con esercitazioni pratiche, per evitare di aggravare quella frattura, innegabilmente esistente, tra Università e mondo del lavoro. Personalizzazione dei percorsi di studio secondo speciali esigenze, possibilità di accesso a tirocini formativi e momenti di orientamento (in entrata e in uscita), opportunità di accesso a esperienze internazionali, sono passaggi che non possono mancare per una piena equiparazione dei corsi telematizzati a quelli tradizionali.

Alla fine, gli esamifici non servono.

Per questo, oltre a intervenire sulla regolazione e sul funzionamento degli Atenei telematici, con una regolamentazione più rigorosa nel reclutamento della classe docenti, la previsione di programmi e corsi di studio equiparati, qualitativamente, a quelli degli Atenei pubblici (in termini di percorso formativo, orario e cfu), prevedendo controlli periodici su garanzia e osservanza degli standard, e obbligo di svolgimento di esami in presenza presso sedi fisiche, sarebbe necessario incentivare gli investimenti di quegli Atenei tradizionali che vogliano mettere a disposizione la competenza di docenti strutturati e qualificati in nuovi corsi c.dd. in modalità c, ossia interamente online.



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