Scandalo ‘concentrati di pomodoro’: MI propone una strategia integrata per la tutela del Made in Italy

Scandalo ‘concentrati di pomodoro’: MI propone una strategia integrata per la tutela del Made in Italy

Viene fuori che alcuni concentrati di pomodoro, venduti come ‘Made in Italy’, contenevano in realtà pomodori provenienti dalla regione cinese dello Xinjiang, nota per il lavoro forzato e le gravi violazioni dei diritti umani.
Un inganno per i consumatori, ma anche un danno alla reputazione del Made in Italy, da sempre sinonimo di qualità, tradizione e trasparenza. Senza contare che l’utilizzo di materie prime legate a pratiche non etiche espone le aziende a conseguenze legali e reputazionali significative.

Per legge, il marchio può essere apposto solo su prodotti la cui ultima trasformazione sostanziale avviene in Italia. Questo principio, in linea con le indicazioni che provengono dall’Europa, è volto a proteggere l’origine italiana dei prodotti. È richiesta anche un’etichettatura trasparente, per garantire informazioni chiare ai consumatori.
Eppure si verificano fatti come quello emerso oggi.
Vuol dire che va ancora fatto qualcosa ai fini del monitoraggio di filiere globali complesse e della prevenzione di frodi alimentari.

L’attuale sistema di controllo presenta limiti significativi, soprattutto per quanto riguarda le filiere internazionali.
Le aziende sono tenute a fornire informazioni dettagliate, ma non sono previsti strumenti obbligatori per verificare in modo efficace l’origine delle materie prime e il rispetto di standard etici. È qui che le direttive europee CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) e CSDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) assumono rilevanza. La prima obbliga le aziende a dichiarare trasparenza sugli impatti ambientali, sociali ed economici lungo tutta la catena del valore, mentre la seconda impone l’identificazione e la prevenzione dei rischi legati al lavoro forzato e allo sfruttamento.

Il problema è che la normativa richiede alle aziende una mole significativa di dati, senza garantire che queste informazioni siano utilizzate per azioni concrete. Spesso manca una pianificazione obbligatoria che trasformi i dati raccolti in interventi efficaci, e questo rischia di rendere la burocrazia un ostacolo invece di un supporto alla sostenibilità.

Per affrontare la sfida, occorre integrare normative e tecnologie innovative per migliorare l’efficacia della rendicontazione e trasformare i dati raccolti in azioni verificabili. Un approccio integrato potrebbe includere l’adozione della blockchain, che consente una tracciabilità affidabile delle filiere e permette di verificare in tempo reale l’origine delle materie prime, rendendo più semplice identificare discrepanze e prevenire frodi. Questo sistema digitale, oltre a ridurre i costi amministrativi a lungo termine, garantisce che le informazioni siano utilizzate per promuovere azioni concrete lungo tutta la catena del valore.
Parallelamente, l’etichettatura deve diventare più dettagliata e verificabile, indicando chiaramente non solo il luogo di trasformazione, ma anche l’origine delle materie prime. Questo non solo rafforzerebbe la fiducia dei consumatori, ma aiuterebbe le autorità a identificare eventuali incongruenze o violazioni normative.
È inoltre fondamentale rendere obbligatori i processi di due diligence, previsti dalla CSDD, per monitorare e gestire i rischi legati a fornitori situati in aree critiche come lo Xinjiang. Questi processi devono essere supportati da linee guida operative chiare e incentivi per le aziende che dimostrano un impegno proattivo nella trasparenza e nella sostenibilità. Al riguardo, con riferimento alle risorse messe a disposizione dal PNRR in tema di transizione digitale e ambientale, sarebbe auspicabile destinarle alla tutela del marchio Made in Italy, al contrasto all’italian sounding mediante l’introduzione obbligatorie di innovativi sistemi tecnologici.
Infine, per garantire il rispetto delle normative, è necessario rafforzare i controlli e garantire l’effettività delle sanzioni per le aziende che violano le regole sulla trasparenza e l’etichettatura. Questo include limitare l’accesso ai mercati e ai fondi pubblici per chi non rispetta gli standard stabiliti, creando un deterrente efficace contro le pratiche fraudolente.

Stop war.



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