Sconti di pena per buona condotta: si pensi piuttosto a recupero infrastrutturale e valorizzazione delle pene alternative
Presentato in questi giorni un disegno di legge, in discussione oggi alla Camera, che propone un consistente sconto di pena per la buona condotta. Una premialità che dovrebbe valere anche come strumento di contrasto del cronico dramma del sovraffollamento carcerario.
Ma il problema è più grande di così.
Riguarda, tra l’altro, la coerenza tra fatto e diritto, la tenuta costituzionale delle proposte legislative, spesso frutto di solo compromesso politico, e la duttilità delle norme, che devono sempre essere innestate nel contesto storico e sociologico nel quale si applicano se vogliono essere davvero attuali e funzionali all’interesse comune.
La questione è delicata e non merita di essere sminuita.
È fuorviante ricondurre il sovraffollamento carcerario alla premialità, come è fuorviante l’atteggiamento repressivo a fronte della necessaria dosimetria della pena, che non deve investire solo il quantum ma anche la species della sanzione. Allo stesso modo è grave trascurare la funzione rieducativa della pena, spesso ontologicamente inibita da una detenzione che abbrutisce e non reinserisce, e trascurare la sinergia tra funzione rieducativa e retributiva della pena rispetto alla società. È fondamentale saper ricucire lo strappo tra l’individuo, la società e la legge attraverso sanzioni proporzionate, certe e orientate al reinserimento; uno scopo che non è affidato soltanto ai giudici, la società non deve essere muto spettatore del percorso di recupero ma attore disposto ad accogliere il detenuto rieducato senza stigmi.
Le carceri, come la sanità, necessitano di investimenti. La premialità e gli sconti di pena esistono già e la loro concessione è prerogativa della magistratura di sorveglianza, in base alla valutazione di ogni singolo caso; non è il risultato di meccanismi automatici (e certamente non lo deve diventare sulla base di un’esigenza statale economica che prescinde dalle valutazioni che dovrebbero invece presidiare la fase dell’esecuzione della pena).
Meritocrazia Italia invoca un approccio sostanzialista ai problemi, perché questa è l’unica strada per risolverli realmente.
La detenzione carceraria deve essere la soluzione soltanto in via residuale. Serve lavorare sulle pene alternative, potenziando quelle esistenti e creandone di nuove, facendo reale applicazione dei principi di proporzionalità tra offesa e sanzione e garantendo la prospettiva rieducativa. Si privilegi lo strumento del lavoro di pubblica utilità o della messa alla prova, con il coinvolgimento delle comunità di recupero. I tanti immobili attualmente in disuso (confiscati alle mafie, acquisiti al patrimonio pubblico perché abusivi, etc.) potrebbero essere riqualificati e destinati a istituti ospitanti, previo il necessario investimento per l’adeguamento a tali esigenze (che è certamente più economico e sostenibile per la finanzia pubblica rispetto alla realizzazione ex novo di istituti penitenziari). Ancora si potrebbero immaginare progettualità che consentano una prospettiva laboratoriale con le agenzie di formazione e lavoro, affinché lo svolgimento di tale servizio pubblico possa utilmente convertirsi in un rapporto di lavoro privato nel futuro.
Sono soltanto alcune delle possibili soluzioni a un problema che è il momento di affrontare con la reale intenzione di risolverlo, senza condizionamenti ideologici.
Stop war.