Servizio Civile Universale
Da opportunità a ripiego
Il servizio civile è stato introdotto con l. 15 dicembre 1972, n. 772, come alternativa al servizio militare di leva, riservato a coloro che si dichiaravano obiettori di coscienza, ovvero a coloro che si rifiutavano di svolgere il servizio di leva per motivi personali, umanitari o religiosi.
Con il trascorrere degli anni, il Servizio civile è stato oggetto di un’evoluzione normativa che, con la l. n. 64 del 6 marzo 2001, ha condotto all’equiparazione tra la leva militare e, appunto, il servizio civile nazionale.
Da ultimo, nel 2017 è stata ridefinita la disciplina del Servizio Civile Universale attraverso l’individuazione dei nuovi settori d’intervento: assistenza; protezione civile; patrimonio storico artistico e culturale; patrimonio ambientale e riqualificazione urbana, educazione e promozione culturale, paesaggistica, ambientale, del turismo sostenibile e sociale, e dello sport; agricoltura in zona di montagna e agricoltura sociale e biodiversità; promozione della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata; promozione e tutela dei diritti umani; cooperazione allo sviluppo; promozione della cultura italiana all’estero e sostegno alle comunità di italiani all’estero.
Oggi, dunque, il Servizio Civile Universale «tutela la Patria con mezzi e attività non militari, promuovendo la nonviolenza, la solidarietà e la cooperazione a livello nazionale e internazionale, con particolare riguardo ai diritti sociali, ai servizi alla persona, all’educazione alla pace fra i popoli» (l. n. 64 del 2001 e d.lg. n. 40 del 2017).
Nonostante l’evoluzione normativa, il S.C.U. ha sempre rappresentato una misura destinata ai giovani con una età compresa tra i 18 e i 28 anni. Sono, invece, mutate le modalità di accesso al servizio, le attività oggetto dello stesso nonché il fine ultimo che è chiamato ad assolvere.
Costituisce la principale misura della quale si occupa il Dipartimento per le Politiche Giovanili (struttura a supporto della Presidenza del Consiglio) al fine di assicurare l’attuazione di politiche in favore dei giovani e, ogni anno, coinvolge oltre 70.000 giovani.
Si tratta di uno strumento mirato a stimolare il senso di cittadinanza attiva nei giovani, nonché a garantire un’occasione di formazione e di crescita personale e professionale per ragazzi chiamati a prestare la propria attività nell’ambito di progetti predisposti a livello nazionale e locale.
L’iniziativa, lodevole negli obiettivi, mostra tuttavia alcuni limiti in punto di attuazione.
E, infatti, ciò che desta preoccupazione è la non perfetta adeguatezza di alcuni dei progetti approvati rispetto ai propositi di crescita personale, formazione professionale, apprendimento di competenze e conoscenze spendibili in un contesto lavorativo e, soprattutto, diffusione di un senso di cittadinanza attiva, intesa come partecipazione alla cosa pubblica per contribuire ad un miglioramento della propria comunità.
Ma soprattutto sempre più spesso i giovani che prendono parte ai processi di selezione non sono spinti da una reale volontà di crescita e/o partecipazione bensì da situazioni circostanziali che rendono il S.C.U. un’opportunità per “tamponare” difficoltà che possono presentarsi durante un percorso di crescita (difficoltà di trovare un impiego ovvero l’esigenza di garantirsi una seppur minima indipendenza economica).
A monte, v’è che, mancano stimoli adeguati perché, in un contesto lavorativo e sociale escludente, anche le migliori opportunità formative finiscono per tradursi in un triste ripiego.
Il S.C.U. dovrebbe rappresentare invece un collante tra mondo dei giovani e mondo degli adulti, così da agevolare quel percorso di integrazione nel tessuto socio-economico del Paese che, oggi, invece è una delle principali cause di esclusione dei giovani dalla partecipazione attiva alla vita pubblica.