SI alla riforma delle intercettazioni. La Giustizia abbia la meglio sul giustizialismo.
Quando si parla di intercettazione l’errore più grande che si commette è dividersi tra i pro e i contro la Magistratura, svilendo la vera essenza di una riforma necessaria.
Dovrebbe aprirsi invece un “focus” diverso nel quale a essere tenuto in considerazione sia il bene più prezioso per ogni civiltà. La condanna in sentenza è l’unica formula di Giustizia possibile, quella pubblica serve esclusivamente a far crescere le vendite di un giornale o facilitare la carriera di chi ha condotto le indagini.
Al centro dello schema proposto da Meritocrazia Italia c’è sia l’esaltazione del legittimo obbligo del PM (che va sempre tutelato per l’impegno e la dedizione che mette nel proprio lavoro) a indagare, ma si apre, allo stesso tempo, la riflessione sulla opportuna valorizzazione della tutela dell’indagato a NON essere pubblicamente condannato senza aver subito un regolare processo. La pubblica gogna del resto non risparmia nessuno né magistrati, né politici, né cittadini ed è questo il tema cruciale per stabilire comunemente dei perimetri alla esondazione giornalistica sull’indagato NON ancora processato.
Da anni Meritocrazia chiede con forza una riforma dei mezzi di ricerca della prova, con revisione della normativa in materia di intercettazioni telefoniche e informatiche, di utilizzo dei captatori informatici e del ricorso ai sequestri informatici, affinché non si trasformino patologicamente in ‘mezzi di ricerca del reato’, con lesione di tutte le garanzie codicistiche e costituzionali dei cittadini.
Oggi che finalmente si torna a parlare di intercettazioni, le annunciate intenzioni di modifica incontrano le resistenze della magistratura.
Non si può ignorare l’uso distorto fatto per decenni dello strumento per come pensato fino a oggi, utile soprattutto ad alimentare la campagna del fango e a favorire processi mediatici che poco hanno a che fare con la Giustizia e distruggono vite di innocenti, ledendone la reputazione e compromettendo irreversibilmente relazioni sociali e professionali.
È un fatto che i risultati delle indagini siano di solito immediatamente divulgati prima dell’inizio del processo. Il clamore mediatico compromette la serenità di giudizio e mortifica ogni possibile strategia difensiva. In disparte l’ovvia violazione del diritto fondamentale alla riservatezza e soprattutto alla difesa.
La Giustizia deve essere al servizio della persona in ogni fase. E il processo penale, in particolare, deve essere costruito attorno all’esclusivo scopo di accertamento del fatto e sottratto a ogni deleteria strumentalizzazione.
La tutela dei diritti fondamentali e la garanzia di un giusto processo non tollerano leggerezze e superficialità.
Lo riconoscono le migliaia di cittadini che hanno risposto al sondaggio lanciato oggi da Meritocrazia Italia sull’opportunità di una revisione della normativa sulle intercettazioni.
Nel dare seguito al sentire comune e in coerenza con quanto già proposto in diverse occasioni, Meritocrazia torna a chiedere:
– l’introduzione del divieto delle intercettazioni telefoniche e/o ambientali relative a conversazioni o comunicazioni riservate tra difensori e con le persone assistite e la trascrizione dell’esito delle stesse nei provvedimenti giudiziari;
– una nuova più rigorosa regolazione i) della pubblicazione delle intercettazioni, che dovrebbe essere possibile in casi del tutto straordinari di rilevante interesse pubblico, anche a indagine conclusa, e da disporsi sempre con provvedimento dello stesso GIP, che ne deve stabilire i criteri e limitazioni indicando precisamente le parti trascrivibili; ii) delle modalità di svolgimento della conferenza stampa della Procura della Repubblica; iii) della modalità di informazione ai cittadini, con obbligo di dare medesima evidenza sia alla misura cautelare che alla evoluzione processuale;
– l’introduzione di limiti temporali all’attività di intercettazione, per un massimo di quindici giorni prorogabili dal giudice, con decreto motivato, per periodi successivi di ulteriori quindici giorni, qualora permangano i presupposti, fino ad un massimo di tre mesi (fatta eccezione per reati gravi quali terrorismo, mafia);
– la previsione del trasferimento dei contenuti delle intercettazioni esclusivamente in archivio digitale (ove non fosse possibile il contestuale e simultaneo trasferimento dei dati intercettati, il verbale delle operazioni ne dovrà dar atto, indicando i motivi che lo impediscono, nonché la esatta cronologica degli accadimenti captati e delle conversazioni intercettate);
– migliore garanzia di corrispondenza tra quanto intercettato, registrato e trasmesso, e disattivazione del trojan horse al termine delle operazioni, al fine di renderlo inidoneo a successivi utilizzi;
– la limitazione dell’acquisizione ai soli dati rilevanti, con espresso divieto di sequestro esplorativo;
– la previsione della responsabilità penale del personale di cancelleria per i casi di fuga di notizie relative all’andamento delle indagini;
– il divieto di pubblicare notizie relative alla indagine almeno fino alla sentenza di primo grado.
Sia questo il tassello di una più ampia riforma dei mezzi di prova, che preveda anche la modifica delle disposizioni in tema, tra l’altro, di abuso d’ufficio, sequestro conservativo e carcere ostativo (v. precedenti comunicati).
Stop war.