Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo
Se, come sosteneva Cicerone, «la memoria è tesoro e custode di tutte le cose», non è inutile rivolgere uno sguardo a due eventi occorsi il 6 agosto di qualche anno fa, che hanno di fatto segnato la storia più recente dell’umanità, se pur per aspetti differenti e per molti versi antitetici.
Mi riferisco, in particolare al 6 agosto del 1945, giorno in cui, durante la Seconda guerra mondiale, il bombardiere Enola Gay ha sganciato sulla città di Hiroshima la bomba atomica, chiamata in codice Little Boy, che ha raso al suolo la città giapponese, causando quasi centomila morti immediati ed altrettanti a distanza di pochi mesi a causa delle malattie causate dal fallout nucleare, e al 6 agosto del 1991, quando Tim Berners-Lee pubbliva il primo sito World Wide Web nella rete Internet, dando vita al fenomeno del www, che ha modificato l’utilizzo della rete mondiale, consentendoci di navigare in modo illimitato tra i contenuti e le informazioni di ogni genere e da ogni dove.
Il primo, fu un evento terribile, che spezzò migliaia di vite, distrusse un intero territorio e pose fine alla Seconda guerra mondiale, mentre il secondo resta una innovazione incredibile, che ha connesso miliardi di persone, ponendosi quale tassello fondamentale della globalizzazione multiverso e senza confini che noi tutti conosciamo e di cui tutti beneficiamo.
La dimensione temporale assurge ad elemento determinante della conoscenza dei nostri errori e dei nostri stessi possibili traguardi.
Pensare al passato è fondamentale per capire il nostro presente e dare un senso al nostro percorso.
Sapere da dove veniamo è essenziale per capire dove stiamo andando, così da creare un filo narrativo che racconti la nostra vita in vista di ciò che proiettiamo del nostro mondo. Ma anche pensare al futuro è indispensabile, per prendere decisioni e pianificare i passi successivi, dando una direzione e un adeguato senso di marcia al nostro incedere.
Pianificare le nostre priorità e stabilire traguardi orientati al futuro ci motiva a portare a termine azioni delle quali non vedremo subito i risultati.
Il cammino è fatto di piccoli passi verso il nostro destino e questo deve spingerci ad essere costanti e perseveranti nel conseguimento di un beneficio anche di non immediata percezione.
È proprio di questo che abbiamo in fine dei conti bisogno.
Di alzare lo sguardo dalle punte dei nostri piedi, liberarci dalle piccole beghe quotidiane che ci zavorrano all’esistente e dai vincoli di ogni tipo che sembrano paralizzare la nostra società, per scorgere i segni di un cambiamento che è già in atto e tornare a immaginare un mondo diverso possibile.
E mi risuonano subito in mente le parole di un gigante del tempo che fu, della fine del Diciannovesimo secolo, nel mentre del consolidamento, ad opera della Gran Bretagna, del proprio impero coloniale in India, la più vasta e importante delle colonie europee in Asia.
Nella lotta all’imperialismo, il Mahatma Gandhi riuscì a raccogliere le mille anime che componevano la società indiana sotto un unico cielo, nel nome delle antiche radici comuni della spiritualità indiana, guidandolo al raggiungimento dell’indipendenza con un motto assolutamente dirompente: «Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fin tanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».
Ci accade spesso di guardare con indignazione al mondo in cui viviamo, deprecandone le mancanze e le ingiustizie, senza di fatto muovere un passo nella direzione auspicata. Abbiamo l’impressione che il mondo accada al di fuori di noi, senza alcuna possibilità di cambiarlo, come se a guidarlo fossero soltanto i potenti del mondo o il naturale decorso delle cose.
Ma esiste davvero un decorso naturale?
O forse possiamo con le nostre azioni forgiare il mondo in cui viviamo?
La risposta di Gandhi è risoluta e non lascia scampo ad alcuna giustificazione: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».
Il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo dipende anche da noi, dai nostri gesti, dalle nostre parole, dalle scelte che compiamo ogni giorno, dalle grandi scelte alle più piccole e apparentemente insignificanti. Incarnare il cambiamento è quanto di più difficile ci venga richiesto dalla società, perché implica un lavoro quotidiano con il nostro io.
Per decidere in quale direzione andare, dobbiamo prima conoscere noi stessi, limare le nostre rigidità, porci in ascolto del mondo, cogliere i bisogni di chi ci circonda, per tracciare infine un percorso da seguire con tenacia e costanza.
Solo così vedremo cambiare il mondo secondo il nostro desiderio, solo così potremo forgiare una società migliore in cui crescere i nostri figli, solo così potremo essere parte di un reale cambiamento.
Ed è proprio in questo primo anelito riflessivo che si pone una delle prerogative più segnanti del percorso di Meritocrazia Italia, un movimento che ci mette quotidianamente davanti al nostro essere, ai nostri limiti, al nostro ego immutevole e versoproiettato, dandoci le chiavi della porta del presente e del futuro, ma ad una condizione, ovvero osare per abbandonare la confort zone del nostro individualismo ed abbracciare il momento del Noi in senso collettivo, muovendo i nostri passi in quel percorso inesplorato che si chiama cambiamento.
Compito fondamentale del nostro tempo è ricucire il rapporto di fiducia con la cittadinanza, dimostrandosi vicini alle esigenze di giustizia sociale delle masse, scoraggiate da Istituzioni lontane e sorde alle loro istanze.
Da qui l’azione di Meritocrazia Italia, che quotidianamente spinge la collettività a una presa di coscienza che riguarda proprio la contraddittorietà e la complessità della contemporaneità.
Solo se i cittadini rifuggiranno da pseudo soluzioni, si avvicineranno ai problemi con atteggiamento consapevole, potranno generare soluzioni compatibili con la praticabilità.
La reazione opposta: la rabbia, il distacco, la fuga verso posizioni ed atteggiamenti che privilegiano l’immediato, il piccolo interesse, lo scambio basato sul mercato del voto, o peggio, il rifiuto della politica come strumento risolutivo dei problemi, non fanno che aiutare l’arroccamento delle élites su posizioni intransigenti verso l’apertura alle istanze di riscatto dei più deboli.
Non può non pensarsi al c.d. effetto farfalla, un teorema elaborato da Edward Lorenz nello studio dei sistemi complessi, che sostiene poeticamente che il battito d’ali di una farfalla in Brasile può generare un tornado in Texas.
Significa che piccole variazioni nelle condizioni iniziali di un sistema possono portare a conseguenze imprevedibili, grandi cambiamenti nel comportamento a lungo termine.
Perché è l’idea iniziale, quando si parte da zero, la grande invenzione. La novità cambia la storia, ciò che segue sono solo variabili.
Alla fine, forse, le invenzioni del secolo, i più bei libri o le nuove scoperte non porteranno il nostro nome, ma ciò che conta è che noi sapremo di aver contribuito, in qualche modo, nel nostro piccolo.
Il punto, infatti, come scriveva Ulrich Beck, è che «noi cerchiamo la politica nel luogo sbagliato, nei concetti sbagliati, ai piani sbagliati, nelle pagine sbagliate dei quotidiani», mentre la potremmo trovare, tra l’altro, nel fatto che «i cittadini esercitano concretamente i loro diritti, riempiendoli della vita per la quale ritengono che valga la pena di lottare».