STABILITÀ DI GOVERNO E RAPPRESENTATIVITÀ DEMOCRATICA
È ancora un’utopia per l’Italia?
La crisi di governo innescata ad agosto e conclusasi con la nascita del Conte bis ha riaperto il dibattito sulla necessità di governi stabili. Ma in Italia sussistono i presupposti per intraprendere questa strada?
La fine del governo giallo-verde, a distanza di soli tredici mesi dal suo insediamento, ha riaperto in Italia un antico dibattito sull’incapacità da parte delle forze politiche presenti in Parlamento di garantire al nostro paese maggioranze stabili, in grado di sviluppare ed attuare programmi di governo a medio e lungo termine.
Invero la consapevolezza sulla necessità di garantire al Paese governi di legislatura, anche a livello locale, era già emersa alla fine della cosiddetta ‘Prima Repubblica’ tanto che il legislatore tra il 1993 e il 1999 riformò profondamente la forma di governo e il sistema elettorale degli enti locali (Comuni, Province e Regioni), nonché il sistema elettorale del Parlamento.
In particolare, con la legge 25 maggio 1993, n. 81, fu modificato l’ordinamento di Comuni e delle Province, introducendo per quel che interessa l’elezione diretta dei rispettivi organi di vertice (Sindaco e Presidente) e il potere autonomo da parte di questi ultimi di nominare, su base fiduciaria, i componenti delle proprie Giunte.
Per quanto riguarda le Regioni si intervenne dapprima sulla legge elettorale, introducendo un premio di maggioranza e la indicazione del candidato Presidente (cfr. l. 23 febbraio 1995, n. 43), e successivamente sulla forma di governo, privilegiando il modello introdotto per gli altri enti locali nel 1993 (cfr. l. cost. 22 novembre 1999, n. 1).
Infine, con riferimento al Parlamento, le leggi 4 agosto 1993, nn. 276 e 277 introdussero per l’elezione della Camera e del Senato un sistema a vocazione maggioritaria, prevedendo l’elezione dei rispettivi membri per il 75% sulla base di collegi uninominali e per il 25% su base proporzionale.
Tuttavia le suindicate riforme hanno sortito un effetto diverso. Mentre, infatti, quelle relative agli enti locali sono state in grado di assicurare negli anni la governabilità, analogo risultato non si è avuto in relazione al governo nazionale. È sufficiente ricordare che dal 1994 ad oggi ben quindici governi hanno preceduto quello del Conte bis, dei quali solo i governi Berlusconi bis e ter hanno garantito una stabilità per l’intera legislatura 2001 – 2006 (quanto meno nella persona del premier).
In realtà, sotto il profilo prettamente giuridico-costituzionale, il diverso esito delle riforme non può considerarsi ‘sorprendente’ in quanto non appare possibile assicurare la stabilità dei governi intervenendo esclusivamente sulla legge elettorale, dovendosi invece intervenire anche e soprattutto sulla forma di governo.
Infatti nelle Repubbliche parlamentari come l’Italia, in cui spetta al Parlamento attribuire e revocare la fiducia al governo, qualsiasi sistema elettorale, per quanto vocato al maggioritario, non sarà mai in grado da solo di assicurare governi di legislatura. E non è certo un caso che a seguito delle elezioni del 2006 e, successivamente, del 2013, nelle quali si è votato con un sistema ancor più maggioritario di quello del 1993 (cfr. l. 21 dicembre 2005, n. 270), si sono succeduti ben sei governi in dodici anni.
Viceversa le riforme introdotte a livello locale hanno sortito l’effetto sperato proprio perché non si è modificato solo il sistema elettorale ma si è legata la stessa sopravvivenza degli organi assembleari (consigli comunali, provinciali e regionali) a quella dei rispettivi organi di vertice, prevedendo l’automatico scioglimento anticipato dei primi nell’ipotesi di voto di sfiducia nei confronti dei secondi.
Quanto detto induce a ritenere che difficilmente in Italia potremmo avere dei governi di legislatura senza ipotizzare un superamento dell’attuale meccanismo previsto dall’art. 94 cost.
Tuttavia la stabilità dei governi, pur costituendo un obiettivo primario nell’attuale contesto socio-economico, soprattutto in relazione alle nuove dinamiche internazionali, non può semplicemente essere ‘imposto’ da un intervento normativo.
Infatti, in un contesto politico in cui regna l’odio e la quotidiana reciproca delegittimazione del nemico, la mera stabilità del governo da sola non è in grado di produrre gli effetti cui essa mira in quanto difficilmente sarebbe seguita da una stabilità sociale.
In altri termini l’idea che un governo debba necessariamente durare una intera legislatura finirebbe per essere, in un contesto in cui la minoranza non riconosce il diritto della maggioranza a governare, un’ulteriore leva di tensione sociale e, con essa, economica.
È necessario, quindi, agire direttamente sull’etica politica ed auspicare che i vari competitor passino dalla demonizzazione dell’avversario alla contrapposizione delle idee e, soprattutto, recuperino il senso della responsabilità istituzionale ergendosi a pompieri, piuttosto che a piromani, rispetto al disagio socio-economico largamente diffuso nella nostra nazione.
Di GIACOMO PAPA