
Sul futuro inquadramento dei medici convenzionati I rischi del passaggio alla dipendenza
La valorizzazione della medicina territoriale, e in particolare il ruolo dei medici di medicina generale, è stata al centro del “Question Time” svoltosi il 26 febbraio 2025 alla Camera dei Deputati. In quell’occasione il Ministro Schillaci ha ribadito l’importanza cruciale del personale sanitario nel sistema sanitario nazionale.
Durante l’incontro è stata affrontata anche la questione del futuro inquadramento dei medici convenzionati.
Le ipotesi in discussione spaziano dalla trasformazione di tutti i medici convenzionati in dipendenti del SSN, a un modello “a esaurimento” che manterrebbe la convenzione solo per i professionisti già in servizio, escludendola per le nuove generazioni di medici del territorio, i quali verrebbero assunti direttamente come dipendenti. Un’ulteriore possibilità è l’introduzione di un “doppio canale”, che consentirebbe ai giovani medici di scegliere se operare in convenzione o come dipendenti del SSN.
Il passaggio alla dipendenza potrebbe comportare alcune criticità, tra le quali:
– la perdita degli studi medici diffusi sul territorio: gli studi dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta sono attualmente distribuiti capillarmente, garantendo un accesso agevole per i pazienti. La transizione a un modello di dipendenza centralizzerebbe l’assistenza in strutture specifiche (le 1.350/1.400 Case di Comunità previste dal PNRR), riducendo la prossimità e l’accessibilità per molti cittadini che popolano i 7.904 Comuni italiani. Qualora si decidesse di applicare il regime di dipendenza solo per i nuovi medici del territorio il problema verrebbe solo procrastinato, con una costante e ineluttabile perdita di presidi sul territorio a ogni pensionamento;
– l’interruzione dei rapporti di lavoro con il personale amministrativo e infermieristico: i MMG e PLS spesso collaborano con personale amministrativo e infermieristico di fiducia che lavora presso i loro studi. Con il passaggio alla dipendenza, questi rapporti consolidati potrebbero essere interrotti (qualora lo stesso personale non venisse assunto anch’esso dalle ASL), influenzando negativamente la continuità e la qualità dell’assistenza fornita;
– il sovraccarico delle Case della Comunità per la certificazione delle malattie: nel 2023 i lavoratori dipendenti (pubblici e privati) hanno goduto di circa 130 milioni di giornate di malattia. Considerando che la durata media di ciascun certificato di malattia è di 5,2 giorni, è possibile determinare il numero di certificati emessi, pari a 25 milioni. Ipotizzando che tutte le 1.400 Case di Comunità entrino a pieno regime, ognuna di queste dovrebbe emettere 17.857 certificati all’anno. Dato che i giorni lavorativi in un anno sono 260, ogni struttura dovrebbe emettere 70 certificati al giorno. Quindi presso ogni struttura, ogni mattina, dovrebbero afferire in media 70 pazienti solo per i certificati di malattia, causando potenziali sovraccarichi e disservizi, per tacer dei problemi di traffico veicolare, parcheggio, sale attesa, trasmissione certificazioni all’INPS nonché aumento di costi per i cittadini che dovranno spostarsi a volte per diverse decine di chilometri onde raggiungere le Case di Comunità a meri scopi certificativi. Sarebbe necessario un servizio CUP per ogni Casa di Comunità solo per la prenotazione delle visite di certificazione malattia;
– accessi impropri ai Pronto Soccorso: nel 2023 si sono registrati 18,27 milioni di accessi ai Pronto Soccorso, con un incremento del 6% rispetto all’anno precedente. Di questi, circa quattro milioni sono stati considerati impropri (ossia poco meno del 22%), in alcuni casi imputabili alla difficoltà di accesso alla medicina territoriale. Dividendo il numero di accessi considerati impropri per i 365 giorni dell’anno, scopriamo che gli accessi impropri al pronto soccorso effettuati ogni giorno in tutta Italia sono meno di 11mila, ossia 11 accessi impropri al giorno per ciascun ospedale italiano (ipotizzando un numero di mille Presidi in mancanza di dati precisi rinvenuti sul web). È evidente che la situazione dei PS italiani deve essere affrontata, ma i numeri evidenziano come il problema sia costituito dalla mancanza di organico sufficiente a gestire la mole degli interventi, in particolare di quelli più severi;
– la riduzione dell’assistenza quotidiana fornita dai MMG: attualmente, ogni MMG garantisce in media 70 contatti al giorno che diventano anche più di cento nei periodi di particolare morbilità (dati studio Bocconi 2024). Se si volesse considerare che tutta la popolazione italiana avesse il proprio MMG e che tutti i MMG fossero massimalisti (avessero quindi in carico 1.500 pazienti), i 70 accessi al giorno possono essere tradotti in prestazioni assistenziali a favore del 4,6% della popolazione, che diventa il 6,6% in occasione dei cento contatti medi giornalieri nei periodi di maggiore morbilità. Dato che la popolazione italiana è di circa 60 milioni, ciò significa che i MMG forniscono giornalmente assistenza a una porzione significativa della popolazione, tra i 2.760.000 (il 4,6%) e i 3.940.000 (il 6,6%). Quindi, attualmente, garantiscono complessivamente in meno di due giornate lavorative prestazioni pari a tutti gli accessi impropri che si sono verificati nell’anno 2023 (4 milioni). Ciò è sintomo che gli accessi impropri in Pronto Soccorso hanno genesi diversa, così analizzabile: 1) liste d’attesa: dinanzi alla necessità di attendere mesi per eseguire un esame diagnostico, il paziente preferisce effettuare un accesso improprio e aggirare così il problema delle liste d’attesa; 2) ragioni culturali: alcuni pazienti, nonostante le rassicurazioni del medico di famiglia, pretendono una risposta di salute immediata e garantita da una struttura sanitaria complessa che può eseguire gli esami e le indagini ritenute opportune; 3) ragioni assicurative: soprattutto per i piccoli incidenti stradali i cittadini preferiscono rivolgersi al pronto soccorso per ottenere un referto incontestabile dalle Compagnie Assicurative e più frequentemente pagato come malattia al 100% invece di rivolgersi al proprio medico curante, i cui certificati di malattia vengono valorizzati con una percentuale di risarcimento sicuramente inferiore al 100%;
– l’aumento del carico previdenziale e la riduzione dei compensi netti: l’inquadramento come dipendenti comporterebbe l’iscrizione dei medici all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Inps), con contributi previdenziali più elevati rispetto a quelli attualmente versati all’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri (Enpam). Questo si tradurrà necessariamente o in una diminuzione dei compensi netti percepiti dai medici o in un importante aumento di costi per il SSN;
– l’alterazione dell’equilibrio garantito dall’Enpam: il depauperamento dei flussi previdenziali attivi determinato dal passaggio alla dipendenza, e quindi alla contribuzione Inps, minerebbe tale stabilità portando l’Enpam a cessare la propria attività e a essere assorbita dall’Inps. In tal modo anche l’Associazione di tutte le Casse Previdenziali Private subirebbe ripercussioni negative perdendo il suo principale aderente che vanta un patrimonio di oltre 27 miliardi di euro. Di più, queste incertezze potrebbero incentivare pensionamenti anticipati, poiché appare del tutto verosimile che i medici più anziani intenderanno evitare riduzioni delle prestazioni previdenziali loro spettanti o penalizzazioni nell’accesso al pensionamento prima dei 70 anni. Questo fenomeno rischierebbe di aggravare l’emorragia di professionisti già in corso. Medesime problematiche si verificherebbero anche con l’applicazione del regime della dipendenza solo per i nuovi giovani medici del territorio. Verrebbe infatti compromesso il rapporto tra pensionati e attivi, che diventerebbero costantemente più anziani portando l’Ente a non poter più garantire la propria stabilità finanziaria e con essa le prestazioni assistenziali e previdenziali;
– la perdita delle prestazioni assistenziali specifiche dell’Enpam: l’Ente previdenziale fornisce prestazioni assistenziali dedicate ai medici, che non sono garantite dall’Inps. Il passaggio all’Inps comporterebbe inevitabilmente la perdita di tali benefici, influenzando negativamente il welfare di tutti i professionisti medici (convenzionati e dipendenti). Caso emblematico quello di Mauro Glorioso, ragazzo palermitano colpito dalla bici lanciata dai Murazzi di Torino nel 2023. Il giovane, studente di medicina, si era iscritto all’Enpam da nemmeno un mese e adesso percepisce una pensione di invalidità assoluta e permanente. Come precisato al punto precedente, tali problematiche si verificherebbero anche con l’applicazione del regime della dipendenza solo per i nuovi giovani medici del territorio.
Meritocrazia Italia teme che la soppressione di tutti gli studi medici sul territorio e la centralizzazione della offerta assistenziale all’interno delle Case di Comunità, con il passaggio al regime della dipendenza, stimolino una domanda assistenziale nei piccoli centri destinata verosimilmente a essere colmata dalla sanità privata gestita da multinazionali o cooperative, con costi a carico della popolazione. Il rischio per i cittadini di dover sostenere direttamente tali spese potrebbe favorire la diffusione di polizze sanitarie sostitutive che le compagnie assicurative stanno già promuovendo sul mercato. Molti di questi prodotti mirano a coprire prestazioni incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), che dovrebbero invece essere garantite dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Inoltre, il passaggio alla dipendenza e la verosimile privatizzazione della sanità territoriale potrebbero indurre i medici ad abbandonare il SSN e optare per la sanità privata capace di garantire condizioni economiche migliori e carico di lavoro meno intenso.
Ciò considerato, al fine di rispondere alle criticità che parte della politica crede di poter risolvere con il passaggio alla dipendenza, Meritocrazia Italia chiede che venga emanato un atto di indirizzo tale da imporre la modifica dell’Accordo Collettivo nazionale della medicina generale e della Pediatria di libera scelta, prevedendo:
– la pubblicazione di carenze con obbligo d’apertura del proprio studio medico all’interno della Casa di Comunità. In tal modo il nuovo medico convenzionato svolgerebbe l’intero orario (già previsto complessivamente di 38 ore settimanali ex art. 33 dell’ACN dei MMG) all’interno delle Case di Comunità. Tale soluzione non solo garantirebbe maggiore presenza all’interno delle strutture previste dal PNRR, ma sarebbe vantaggiosa anche per i giovani medici, che potrebbero procrastinare l’apertura del proprio studio fuori dalla Casa di Comunità ad anni successivi con un risparmio di spesa (oggi il contratto collettivo prevede l’apertura dello studio “esterno” al conferimento dell’incarico);
– la possibilità di spostare la sede di forme associative di medici di famiglia e di pediatri di libera scelta all’interno delle Case di Comunità. Sono già previste sul territorio italiano dal 2005 forme associative complesse che garantiscono l’assistenza H12 o H24. Nei Comuni che ospiteranno le Case di Comunità potrebbero essere pianificati semplicemente i “traslochi” di tali forme associative all’interno della struttura PNRR. Anche in questo caso, i medici aderenti all’associazione potrebbero continuare a garantire i servizi oggi resi alla popolazione con l’ausilio degli altri professionisti sanitari che implementeranno l’offerta assistenziale delle Case di Comunità;
Replicare la struttura ospedaliera e applicarne le dinamiche sul territorio, quindi, non solo rischia di non essere la soluzione al problema ma addirittura potrebbe aggravarlo.
La temporanea carenza di personale sanitario deve indurre la politica a scelte oculate e di prospettiva. Quando saranno percepibili gli effetti di un aumento dei posti alla facoltà di Medicina, già in atto, il territorio, come l’ospedale, avrà la disponibilità di professionisti di cui ha bisogno e si potranno operare semplici correttivi agendo sulla contrattazione collettiva.
Con il passaggio alla dipendenza, invece, si verificheranno effetti irreversibili che priveranno la cittadinanza di un sistema che ha garantito, nonostante la costante carenza di personale e di fondi, un servizio gradito alla popolazione, soprattutto la più fragile e anziana e quella residente nelle aree rurali o sparse, e si potrebbe assistere a un’accelerazione del processo di privatizzazione del nostro SSN.
In conclusione, Meritocrazia Italia auspica che qualsiasi riforma della medicina territoriale sia davvero mirata a garantire un equilibrio tra efficienza del sistema e accessibilità delle cure, preservando la qualità e la prossimità dell’assistenza per tutti i cittadini.
Quando saranno percepibili gli effetti di un aumento dei posti alla facoltà di Medicina, già in atto, il territorio, come l’ospedale, avrà la disponibilità di professionisti di cui ha bisogno e si potranno operare semplici correttivi agendo sulla contrattazione collettiva. Con il passaggio alla dipendenza, invece, si verificheranno per certo effetti irreversibili che priveranno la cittadinanza di un sistema che ha garantito, nonostante la costante carenza di personale e di fondi, un servizio utile alla popolazione, soprattutto a quella più fragile ed anziana e a quella residente nelle aree rurali o sparse, e si potrebbe assistere ad una accelerazione del processo di privatizzazione del nostro SSN.
Stop war.