Tassazione degli extraprofitti: le proposte di MI per la ripresa dell’economia
Nel periodo dell’anno in cui il Governo provvede a scrivere la legge di bilancio per l’esercizio successivo, torna a discutersi di extraprofitti.
Durante la seduta del Consiglio dei ministri dello scorso 15 ottobre è stata approvata la manovra 2025, che adesso affronterà l’iter di approvazione parlamentare. Stando invece al comunicato stampa divulgato, si tratterebbe non di una vera e propria tassa, ma di un anticipo di cassa, che dovrà/potrà essere recuperato, prevedendo il rinvio delle deduzioni su svalutazioni di crediti, avviamenti e svalutazioni legate all’introduzione dei principi Ifrs9, per due annualità: il 2025 e il 2026. Il contributo trattenuto con il rinvio delle deduzioni verrà recuperato gradualmente nell’arco del triennio successivo alle due annualità, dunque tra il 2027 e il 2029.
Sebbene cosa si intenda tecnicamente per extraprofitto non sia ancora del tutto chiaro, è certo che le banche abbiano visto incrementare i propri ricavi (soprattutto per il rialzo dei tassi dei mutui) senza subire alcun incremento dei costi sulla provvista dei fondi. In sostanza, all’aumento dell’onere del costo del denaro per famiglie e imprese non è stato affiancato un aumento di quello che viene dato al correntista. Ed è su questo gap che dovrebbe essere calcolata l’aliquota di prelievo sugli extraprofitti.
In particolare, secondo i sindacati, solo nei primi sei mesi del 2024 le banche avrebbero generato utili già per oltre 12 miliardi di euro. Uno studio di Unimpresa quantifica in 8,1 miliardi le tasse pagate dalle banche nel 2023 su 40,6 miliardi di utili, con un tax rate (il rapporto tra tasse versate nelle casse dello Stato e profitti) pari al 20,1%. Una percentuale, si sottolinea, «nettamente inferiore» alla media italiana per aziende e lavoratori stabilmente superiore al 42%.
Tale disallineamento induce a chiedersi se non sia opportuno, sul fronte dell’equità sociale, richiamare a un contributo di solidarietà interlocutori finanziari che certamente hanno a disposizione cifre da capogiro in termini di utili e, se si guarda ai sondaggi, più del 70% degli italiani si è dichiarato favorevole, in linea generale, ad applicare iniziative di questo tipo.
Questa proposta non è una novità: si pensi al contributo straordinario contro il caro bollette, introdotto dal d.l. n. 21 del 2022 all’art. 37, pari al 10% degli extra-profitti delle imprese operanti nel settore energetico, al fine di contenere per le imprese e i consumatori gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe di settore; o, ancora prima, alla ‘Robin Hood Tax’ (ex art. 81, d.l. n. 112 del 2008), ovvero una extra-imposta sulle imprese energetiche, poi dichiarata incostituzionale dalla Corte principalmente per la sua permanenza a regime. Da ultimo poi, nel 2023, il Governo aveva già ipotizzato una soluzione analoga che prevedesse un contributo una tantum a carico degli istituti di credito, poi in parte modificato con la possibilità per le Banche di evitarne il pagamento a condizione che avessero rafforzato il proprio patrimonio fino ad una soglia uguale a due volte e mezzo il valore dell’imposta che sarebbe stata a carico del singolo istituto.
Tuttavia, dal momento che in parte qua le banche si comportano come un’impresa (e quindi ciò che si vorrebbe tassare è molto vicino al concetto di utile aziendale), c’è chi dubita della sostenibilità di tale iniziativa sia per opacità in termini di costituzionalità di un’imposta così concepita, sia per l’impatto che essa avrebbe sull’economia reale. Altri mettono in guardia dal fatto che un brutale prelievo o tassa avrebbe effetti distorsivi proprio su quelle banche più legate ai territori e che sostengono maggiormente le Pmi senza poter essere in grado di sostenere la falce dell’imposizione così costruita.
Sul tavolo sono confluite diverse proposte che hanno spaziato dal contributo di solidarietà, a regole peculiari per la deduzione degli ammortamenti delle perdite, passando per l’obbligo di accantonare a riserva una certa somma e finanche un “prelievo solidale” dell’1-2% sugli utili degli ultimi 12-24 mesi, per contribuire al finanziamento di misure come il taglio del cuneo fiscale, gli sgravi Irpef o il Bonus tredicesima.
Rebus sic stantibus, Meritocrazia Italia ancora una volta auspica che qualunque iniziativa portata avanti sia frutto di una decisione ponderata che non sconti la miopia in cui spesso incorre chi difende uno slogan o una ideologia. Chiaramente una scelta di questo tipo indurrebbe a sua volta degli effetti sul mercato che a cascata potrebbero impattare su investitori e piccoli risparmiatori, con un potenziale dannoso incalcolabile se combinato con gli altri fattori di crisi indotti dalle guerre e dagli strascichi economici della pandemia, dai quali l’economia ancora fatica a riprendersi per l’escalation dei conflitti armati attualmente in corso.
Pertanto, ben venga il reperimento di risorse ulteriori purché si esca dalla tassonomia che pone l’equazione entrate-tasse come unica strada percorribile. L’economia può essere favorita anche in molti altri modi: si potrebbe optare per la possibilità di garantire più liquidità; si potrebbero incoraggiare gli investimenti con un aumento dei tassi di interesse; si potrebbero coinvolgere nella contribuzione solidale anche altri attori economici che hanno ampiamente beneficiato della crisi (società di distribuzione di energia e gas, o grandi colossi farmaceutici) o ancora esplorare frontiere ibride sul piano finanziario e macroeconomico per evitare danni a lungo termine che ricadrebbero necessariamente sui cittadini.
Stop war.