Tra le tante riforme, non si trascuri il riavvicinamento delle Università al mondo del lavoro

Tra le tante riforme, non si trascuri il riavvicinamento delle Università al mondo del lavoro

In tempo di riforme, a restare indietro è, come sempre, la formazione.
Le tante criticità delle Università italiane, che dovrebbero rappresentare lo snodo della crescita culturale, sociale ed economica del Paese, restano ignorate.

Un recente rapporto pubblicato dall’Anvur rivela, ad esempio, che l’Università italiana non offre agli iscritti nessun corso davvero orientato sul versante pratico e professionalizzante. I corsi hanno tutti natura perlopiù teorica e non sono realmente rivolti alla migliore preparazione degli studenti per l’impatto con il mondo del lavoro. Quelli di carattere professionalizzante, nella media europea, rappresentano circa un quarto dei corsi seguiti dai giovani in possesso del titolo di laurea; di contro, i laureati italiani sono tutti titolari di un diploma a prevalente contenuto teorico, tipico dell’istruzione universitaria tradizionale.

Pare che per oltre uno studente su cinque siano previste zero ore di esercitazione pratica nel proprio percorso di studi, e per il 32% degli iscritti italiani il numero di ore pratiche è considerato insufficiente.

Significativi anche i rilievi dell’Ocse, che oggi mette a nudo il deficit che emerge proprio in Italia dal rapporto tra formazione e professione. Si prende atto che i laureati che puntano su «competenze professionali e tecniche di alto livello, piuttosto che su conoscenze teoriche» transitano «più rapidamente verso lavori di alta qualità e ben retribuiti e che il resto dei laureati rimane, invece, intrappolato in un mercato del lavoro che li colloca in posti di scarsa qualità e per i quali, di solito, sono sovra-qualificati».

L’attuale skill mismatch fra Università e mondo del lavoro è dovuto anche alla frammentarietà dei corsi altamente professionali della scuola superiore, che spesso vengono percepiti come opzioni educative inferiori rispetto ai licei.

L’Università italiana, che a oggi, nonostante i tanti affanni, continua a garantire una formazione di alta qualità, merita di essere riportata agli standard europei anche dal punto di vista del riavvicinamento al mondo del lavoro e delle produzioni.
In questa direzione, tra le altre cose, è necessario
– incrementare le risorse economiche per l’acquisto di prodotti e materie da utilizzare per la pratica degli studenti, attesa l’attuale cronica carenza di attrezzature necessarie;
– rivedere i piani di studio, aggiungendo, specie, nelle facoltà triennali e magistrali, al superamento di uno stage/tirocinio di 150/300 ore per il conseguimento del titolo di laurea, stage per gli indirizzi finalizzati al lavoro pratico;
– incrementare il numero delle lauree professionalizzanti.
Lo studio teorico, la cui importanza non deve comunque essere sottovalutata, deve essere tappa di un percorso formativo più ampio, integrato con progetti pratici in team e in autonomia, tirocini, più esperienze all’estero e networking.

Stop war.



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