TRANSITION TOWN TEORY

TRANSITION TOWN TEORY

Propositi e proposte

Secondo la Transition Town Teory (TTT), la transizione è quel periodo di tempo necessario a una comunità che utilizza combustibili fossili per passare all’utilizzo esclusivo di energie rinnovabili.

Nei primi anni del Novecento, il chimico svedese Svante Arrhenius iniziò a ipotizzare che l’aggiunta della CO2 in atmosfera per mano antropica in seguito all’industrializzazione avrebbe potuto contribuire all’intensificazione del naturale dell’effetto serra.
Negli anni settanta e ottanta era già evidente ai climatologi che queste emissioni stavano agevolando pericolosamente il riscaldamento delle terre e dei mari, influenzando il clima a livello globale.

Da qui, il Summit della Terra, che si tenne a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992. Fu la prima conferenza mondiale dei capi di Stato sul tema ambientale.
Un evento senza precedenti.
Vi parteciparono 172 governi e 108 capi di Stato o di Governo, 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative.
La Conferenza di Rio produsse diversi documenti ufficiali come l’Agenda 21, i Principi sulle foreste, la Convenzione sulla diversità biologica, la Convenzione sul cambiamento climatico, ma soprattutto pose le basi per la stesura del Protocollo di Kyoto.

Il Protocollo di Kyoto è il primo trattato internazionale avente a oggetto il problema ambientale e, in particolare, il surriscaldamento globale. Fu pubblicato l’11 dicembre 1997, appunto nella città di Kyoto, in occasione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica da parte della Russia.

Nello stesso anno l’attivista e scrittore inglese Rob Hopkinsf fondò il Movimento delle Città di Transizione in Irlanda, a Kinsale, e in Inghilterra, a Totnes, con l’obiettivo di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida costituita dal sommarsi del riscaldamento globale e del picco del petrolio.
L’obiettivo principale del Movimento è stato fin da subito quello di elevare il livello di consapevolezza comune rispetto a temi di insediamento sostenibile e preparare alla flessibilità richiesta dai mutamenti in corso. Le comunità sono incoraggiate a ricercare metodi per ridurre l’utilizzo di energia e incrementare la propria autonomia a tutti i livelli, riducendo anche la circolazione di uomini e merci, creando anche delle monete complementari locali.

Su queste premesse e soprattutto sull’idea che una accelerazione reale alla transizione ecologica porterà tutti a fare delle scelte più sostenibili, a consumare forse un po’ meno, ma con il certo inatteso vantaggio di essere meno stressati e più felici, utile potrebbe essere anche

rendere obbligatoria l’indicazione sulle etichette di tutti prodotti e nelle offerte di servizi la Carbon foot print e la Water foot print, cioè la quantità di CO2 emessa e il consumo di acqua necessari per la loro produzione, esattamente come si fa per le etichette di efficienza energetica per gli elettrodomestici, affinché i consumatori possano essere più consapevoli del reale impatto ambientale di tutta la filiera (anche per un prodotto/servizio a km 0 si può aver necessità di risorse molto impattanti che provengono da altri Paesi: è la c.d. esternalità ambientale) e le aziende siano a loro volta più attente ai loro fornitori;

puntare sulla diffusione delle buone pratiche che già vengono adottate nelle trasition town, riprendendole e adattandole ai singoli contesti territoriali italiani.
Divulgare le delibere dei comuni italiani che hanno aderito alla TTT (Bologna, L’Aquila, Campogalliano, Carpi, Gandino, ecc.) potrebbe essere utile per far capire anche agli amministratori che è una realtà possibile.



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