TRANSIZIONE ECOLOGICA E FONDI DI INVESTIMENTO
Il pricing del rischio ambientale
Nello scenario economico attuale, il mondo imprenditoriale si chiede se sia davvero possibile orientare le scelte di investimento, e quindi di produzione e consumo, con maggiore considerazione per l’impatto ambientale di prodotti e servizi.
Come noto, infatti, alla bade dei fondi di investimento vi sono sempre scelte strategiche sui costi da sostenere e sul ritorno atteso sui capitali impegnati.
Diviene fondamentale, insomma, saper valutare nel modo giusto i costi reali, così da poterli confrontare nel modo esatto con i redditi futuri, ossia saper operare un pricing corretto al fine di canalizzare coerentemente i flussi finanziari.
I maggiori protagonisti globali del mondo degli investimenti hanno cominciato ad accettare il fatto che è necessario introdurre tra i criteri di pricing anche il tema ambientale.
Il discorso riguarda le c.dd. esternalità negative, ovvero quei costi che una determinata azione, come ad esempio l’introduzione di una tecnologia inquinante, fa ricadere su tutta la società indipendentemente da chi abbia assunto la decisione. Se fino ad ora tutto il tema delle esternalità era stato racchiuso nei confini delle politiche pubbliche, ora comincia a fare breccia anche nel grande mondo dei capitali privati.
Secondo studi di settore (studio Kpmg) il 54% dei fondi a gestione attiva (ossia fondi che hanno lo scopo di ottenere una performance migliore del benchmark) e il 41% di quelli a gestione passiva (come gli ETF che hanno l’obiettivo di replicare l’indice in questione) affermano di trovarsi già a uno stadio maturo nel processo di pricing del rischio climatico nell’ambito del management dei portafogli di investimento. E rispettivamente il 20% e il 37% sono in una fase di implementazione.
Rimane, però un 26% (gestione attiva) e un 22% (gestione passiva) che ancora non si sono mossi in questa direzione, pur ritenendo necessario farlo.
V’è che, purtroppo, tali scelte comportano il rischio di non incorporare l’impatto ambientale degli investimenti, come il pericolo che alcuni asset diventino obsoleti per il cambio di preferenze dei consumatori, che tipicamente potrebbero optare per altri maggiormente sostenibili. Un esempio possono essere immobili che non rispettano i più recenti standard di consumo energetico.
Si consideri anche il pericolo che eventi climatici estremi danneggino gli asset con maggiore frequenza rispetto al passato. O ancora rischi di contenzioso, nel caso terze parti chiedano compensazioni per un danno ambientale.
Tuttavia, se si tratta di giudicare l’adattamento del mercato in generale a procedere a un pricing dell’impatto ambientale degli investimenti, si riscontra un certo pessimismo dovuto alla tendenza del mercato a prediligere investimenti di breve periodo e alle difficoltà di misurazione dei rischi e delle opportunità legate all’ambiente; l’impossibilità di avere una precisa stima del prezzo dell’innalzamento dei mari, per esempio, costituisce un disincentivo anche solo ad occuparsene.
Ci si deve fidare di stime compiute dalle società di consulenza che, occupandosi del tema dal punto di vista macro-economico, affermano che l’Italia, in mancanza di iniziative adeguate per il contrasto al cambiamento climatico, rischia 1.200 miliardi di euro di danni in 50 anni, e 21 milioni di posti di lavoro in meno complessivamente, mentre la decarbonizzazione potrebbe portare nello stesso lasso di tempo 470mila occupati in più.
Sono quindi gli stessi operatori economici, i gestori dei maggiori fondi di investimento, a invocare un intervento pubblico che possa spingere i mercati a effettuare il necessario pricing dei rischi climatici e ambientali. Attraverso, per esempio, la promozione della ricerca nell’ambito delle innovazioni verdi, la fissazione di standard restrittivi per quanto riguarda le emissioni di CO2, stabilendo dei veri e propri KPI (Key Performance Indicators) per quanto riguarda le performance ambientali di aziende e settori economici, per rendere più facili e trasparenti le scelte di investimento.
Permane una certa inerzia al cambiamento e proiettare le proprie scelte su strategie eco compatibili sembra più facile a dirsi che a farsi.