UN NUOVO APPROCCIO AGRO-ECOLOGICO
Analisi e proposte
Una grande sfida per l’Europa è l’attuazione della strategia Farm to Work, cuore del nuovo Green Deal, intesa a raggiungere, entro il 2050, la neutralità climatica nel continente. Tale strategia mira a rendere i sistemi alimentari equi, sani e rispettosi dell’ambiente. Collocare i sistemi alimentari in un percorso produttivo e di lavorazione sostenibile offre anche nuove opportunità per gli operatori della catena. Le nuove tecnologie e le scoperte scientifiche, combinate con la crescente consapevolezza del pubblico e la domanda di cibo sostenibile, porteranno vantaggio a tutte le parti interessate.
Il mercato del bio è in forte espansione. Si registrano numeri interessanti e in costante crescita, sia dal punto di vista del fatturato complessivo sia dal punto di vista occupazionale. Un trend positivo ininterrotto, ricorda l’Ismea, che negli ultimi 15 anni ha traghettato il comparto fuori dalla dimensione di nicchia delle origini, per trasformarlo in uno stile di vita ampiamente diffuso e consolidato nelle abitudini alimentari delle famiglie italiane.
Nel contesto economico italiano, il settore dell’agricoltura biologica offre punti di forza considerevoli, con un crescente numero di operatori (attualmente 80643, incrementatosi del 69%). Si contraddistingue per un aumento delle vendite, che nel 2019 avevano superato i 4 miliardi di euro e, complice l’effetto pandemia, già nel primo semestre 2020 hanno registrato un incremento del 4,4%, raggiungendo 3,3 miliardi di euro; mentre l’export ha raggiunto i 2,3 miliardi di euro, evidenziando una crescita quindi sia in termini di esportazioni sia nei consumi e nella domanda interna. L’emergenza sanitaria ha impresso un’ulteriore accelerazione alla crescita, non solo per via del generale aumento degli acquisti tra le mura domestiche, ma anche per la maggiore attenzione alla salute e al benessere, imposte come priorità nel vissuto del consumatore.
L’analisi della distribuzione regionale delle superfici biologiche indica che le maggiori estensioni si trovano in Sicilia, Puglia, Calabria ed Emilia Romagna. Da sole rappresentano oltre la metà dell’intera superficie biologica nazionale. Il settore presenta, inoltre, delle criticità che riguardano prevalentemente i canali di distribuzione, con una scarsa diffusione di mercati a livello locale.
A trainare le vendite, infatti, è la Gdo, che già nel 2019 avanzava del 5,5%, rispetto all’anno precedente, e che nel lockdown ha visto un incremento delle vendite pari al 11%; molto bene anche i discount, che crescono del 10,7%, mentre si registra un’inversione di tendenza per i negozi tradizionali, che dopo alcuni anni di stagnazione, hanno una crescita di fatturato del 3,2%. Il 44% dei consumatori acquista alimenti bio nella Gdo, il 19% preferisce i negozi specializzati, per l’offerta disponibile e la maggiore fiducia nei prodotti venduti. Un ambito, dunque, che offre enormi opportunità in termini occupazionali, ma ha come principali minacce quello della concorrenza estera, le frodi commerciali e la perdita di potere degli agricoltori in una filiera troppo lunga.
Le utilità portate da uno sviluppo adeguato del settore sono all’evidenza: maggiore capacità di fissazione del carbonio nel suolo, riduzione degli input energetici, riduzione delle emissioni di gas serra connesse al non uso di fertilizzanti di sintesi, miglior controllo dell’erosione del suolo.
Vero, per altro verso, che non mancano ostacoli alla piena diffusione dell’approccio agro-ecologico. Le minacce maggiori derivano dai cambiamenti climatici e dalla costante erosione genetica sia vegetale che animale da essi apportata. Nel prossimo decennio, la sfida sarà quella di migliorare la produttività per unità di superficie coltivata, mantenendo un elevato standard qualitativo ed un basso impatto sull’ambiente. A tal fine, potrebbe essere utile integrare agricoltura convenzionale e biologica, per combinare i migliori aspetti positivi di entrambe le pratiche, ottenendo buone rese di prodotto di elevata qualità con elevate garanzie per l’ambiente e gli ecosistemi presenti. Anche sviluppare sistemi agricoli che tengano conto di usi alternativi del territorio, preservando porzioni di suolo aziendale per la flora e la fauna selvatica e la selvicoltura sostenibile, potrebbe garantire una superiore eco-sostenibilità delle imprese agricole. Fondamentale, sarà la creazione di nuove figure professionali atte al controllo ed alla proposizione di un vero proprio ecosistema bio.
Per una crescita ulteriore e sostenibile del settore, sarà essenziale anche garantire adeguata tutela dei lavoratori interessati. Sembra necessario, allo scopo,
– procedere a una contrattazione specifica e dettagliata, in grado di assicurare a il giusto rapporto tra salario e tassazione;
– condurre una lotta più accorta e serrata al sommerso e allo sfruttamento dei lavoratori agricoli;
– favorire accordi di filiera corta, in modo da consentire maggiore potere contrattuale agli agricoltori e contestualmente creare quell’indotto necessario ad ampliare la richiesta di nuova forza lavoro;
– creare marchi univoci “Made in Italy”, al fine di distinguere il prodotto nostrano da quello estero, oggi regolamentato da normative a maglie più larghe e con bassi costi della manodopera;
– incentivare la creazione di forme associative e/o cooperative in grado di poter abbassare, distribuendoli, i costi gestionali e di produzione;
– promuovere, a livello locale, un rafforzamento dei mercati, per agevolare la distribuzione del prodotto attraverso canali che lo rendano fruibile col minor dispendio energetico possibile: realizzazione effettiva del km 0. Analizzando il contesto politico-istituzionale, sebbene tra i punti di forza vi siano gli ingenti flussi finanziari destinati allo sviluppo dell’agricoltura biologica dal 1994 in poi, si possono rilevare le solite e ormai consolidate criticità portate dall’eccessiva burocratizzazione connessa all’adesione del regime biologico e all’inadeguatezza del sistema di certificazione. Le strategie a favore del settore biologico, poi, sono generalmente centrate sulla sola Misura 11, nell’ambito dei PSR regionali, e pertanto risultano poco strutturate e articolate. Sarebbe auspicabile, dunque, cogliere le opportunità con l’approvazione di un testo unico innovativo e di visione sul settore biologico e contestualmente instituire tavoli tematici esclusivamente basati sul biologico per coordinare le politiche regionali.
E’ certo, poi, che occorre contenere le minacce derivanti dai competitor esteri. Interessante e stimolante, per interventi specifici, è l’analisi delle caratteristiche culturali dei conduttori delle aziende biologiche italiane rispetto al resto del mondo. Il 7,8% dei conduttori italiani ha un titolo di studio di laurea o diploma universitario, la metà rispetto alla media mondiale, invece il 25% ha un diploma di scuola superiore non molto distante dalla media mondiale del 32%. In termini di età invece i conduttori italiani sono per l’11% giovani tra 20 e 39 anni mentre hanno oltre 65 anni il 37,2%. Utile, infine, sapere che nemmeno il 6% delle aziende biologiche è impegnato in attività connesse (trasformazione, agriturismo, fattoria didattica, fattoria sociale), solo il 4% usa strumenti informatici, poco meno del 2% ha un sito internet e nemmeno l’1% vende on line. Per difendere il prodotto italiano e meglio promuovere la diffusione del bio sarebbe opportuno:
– adottare politiche fiscali che incentivino tali attività e che promuovano realmente la realizzazione verso una conversione bio del nostro sistema produttivo;
– eliminare gli ostacoli burocratici e costruire un adeguato sistema di certificazione;
– creare un sistema formativo per il biologico, sia a livello di scuole di II grado sia universitario;
– approvare un testo unico che inquadri il settore e lo tuteli promuovendone l’adozione, in dettaglio, anche a livello delle singole regioni;
– adottare politiche formative di marketing al fine di agevolare le vendite del prodotto.
Relativamente al contesto sociale, l’analisi del settore bio porta a evidenziare la stretta connessione della produzione di agricoltura biologica con forme di diversificazione del reddito e in particolare uno stretto collegamento con l’agricoltura sociale. Tale sistema porta a dignità sociale i piccoli produttori agricoli e fa crescere la consapevolezza dei consumatori rispetto a tale tipologia di prodotti potrebbe essere occasione per reali quanto tangibili attività di tutela ambientale. Di converso, vi è una scarsa consapevolezza dei consumatori stessi circa le peculiarità dei prodotti biologici rispetto a quelli convenzionali e i relativi effetti. Le opportunità derivano dalla valorizzazione di una reale dieta mediterranea, dalla crescente ricerca di sicurezza alimentare e dallo sviluppo di un’etica dei consumi. Le autentiche minacce riguardano una perdita dei saperi locali sulle tecniche di coltivazione e trasformazione degli alimenti.
Si propone, pertanto:
– al fine di conservare i saperi delle coltivazioni locali, di provvedere a una brandizzazione per regione o meglio per località dei prodotti di eccellenza, con favore per l’indotto legato al turismo agroalimentare e relativo aumento della forza lavoro occupata;
– di predisporre contratti di apprendistato da svolgersi in sede aziendali;
– di promuovere politiche atte a diffondere la conoscenza delle proprietà benefiche di una sana dieta mediterranea e favorire lo sviluppo, attraverso operazioni di marketing mirate, della consapevolezza delle qualità del singolo prodotto consumato.
Di ANTONELLA GALARDO
Fonti
“Bio in cifre 2020” Rapporto Sinab (Progetto Mipaaf gestito da Ismea e Ciheam)
“Il biologico italiano in movimento” FederBio
“Il bio che cresce in un mercato che cambia” Rapporto Bio Bank 2019
“Caratteristiche delle aziende biologiche” Censimento Agricoltura Istat
“Agricoltura biologica: normativa di riferimento” Agraria.org