Una memoria selettiva e di comodo
È molto diffusa una certa propensione all’autoesaltazione. Nella vita privata o professionale, il desiderio più comune è quello di dare evidenza ai propri successi.
Il culto dell’immagine di sé è coltivato più facilmente nella nuova dimensione virtuale della vita. Ciò che prima era celebrato nell’intimità delle mura domestiche o nella ristretta sfera delle proprie amicizie oggi è condiviso con un pubblico molto, molto più ampio. Anzi, il concetto stesso di amicizia ha assunto una nuova connotazione, e somiglia di più a quella che un tempo era considerata mera o lontana conoscenza. Amico non è più la persona con la quale si sceglie di dividere momenti felici e difficoltà, o parti importanti del proprio percorso di vita; è qualunque estraneo che si trovi per caso a incrociare la nostra strada.
Questa superficialità dei rapporti fa sì che, a un certo punto, si perda di vista ciò che conta davvero. Si conserva lunghissima memoria per tutto quello che non va. Piccoli errori altrui restano indelebili nel tempo. E antipatie e dissapori si inaspriscono inutilmente.
Ricordo che, non appena insediatosi, l’attuale Presidente del Consiglio fu chiamata a tenere una conferenza stampa a proposito delle indagini che, circa 30 anni prima, avevano coinvolto il padre naturale, con il quale non ha mai avuto alcun rapporto.
Una memoria lunga sul superfluo. E una memoria cortissima sull’importante. Tante cose che hanno davvero contribuito a cambiare il modo di ragionare, di affrontare i problemi, che hanno favorito il progresso culturale diventano in pochissimo irrilevanti.
La riflessione di oggi si innesta bene nella trama di una delle opere più significative di Italo Calvino, ‘Il barone rampante’, pubblicato per la prima volta nel 1957.
Nel racconto, il giovane barone Cosimo Piovasco di Rondò, primogenito di una famiglia nobile, sceglie di rompere gli schemi imposti dal suo stato sociale e di andare contro il volere della famiglia. Decide di vivere su un albero. E prende il coraggio di affrontare esperienze nuove e nuovi sentimenti, come l’amore per Viola. Calvino mette a nudo così le debolezze umane e le contraddizioni dell’essere. Fa capire quali opportunità di crescita offra sfuggire all’omologazione e farsi diversi dal resto.
Oggi viviamo una sorta di anestesia sociale, che ci rende incapaci di comprendere tutto quanto si allontani dai cliché, da ciò che è comunemente considerato ‘normale’. Non siamo più in grado di leggere i sentimenti altrui. Forse non siamo neppure più capaci di essere noi stessi e di coltivare la nostra personalità.
Essere parte di Meritocrazia Italia vuol dire anzitutto trovare la forza di aprire lo sguardo a nuovi orizzonti. Di coltivare un pensiero realmente divergente. Di imparare a conoscersi, confrontarsi con i propri limiti e le proprie debolezze e scoprire i propri punti di forza, e valorizzarli. Per questo, mettersi in discussione è essenziale.
Chi non ha tempo per la vera socialità finisce per essere irrimediabilmente fagocitato dal vortice dell’omologazione e dell’appiattimento delle personalità, e perdere, inconsapevolmente, ogni libertà.
Soltanto un maggiore impegno culturale da parte di tutti potrà consentire di cogliere nel virtuale occasioni di crescita, e di scongiurare i rischi di un annichilimento delle intelligenze.
Di riprendere il controllo e scoprire che tipo di spettacolo mettere in scena.