UNBREAKABLES – EPISODIO 2
JONAH LOMU, GAME CHANGER
Un fulmine, una luce accecante, tanto potente da far tremare le gambe al solo sguardo, allo stesso tempo così maledettamente fugace, e impossibile da cogliere in tutta la sua bellezza.
È il 27 maggio 1995, a Johannesburg, fase a gironi della Coppa del Mondo di rugby; un ventenne neozelandese fa capire ai quarantamila tifosi presenti allo stadio, e a tutto il resto del mondo, che niente sarà più come prima.
Jonah Lomu entra nella storia del rugby , cambiando per sempre il modo di giocare, di vedere, anche solo di concepire lo sport.
Già esordiente più giovane della nazionale più iconica al mondo: la Nuova Zelanda, conosciuta ai più come All Blacks, diventa miglior marcatore della massima competizione mondiale, persa in finale contro i padroni di casa, il Sud Africa (la cui storia, magnifica, merita un episodio tutto per sé).
Come ogni grande storia sportiva, anche (e soprattutto) quella di Jonah è una storia di riscatto, di coraggio, di perseveranza.
Lo sport, per Jonah, non è solo una passione, rappresenta la speranza e il desiderio di rivalsa nei confronti di una vita per nulla benevola.
Nonostante sia nato e cresciuto nei peggiori quartieri di Auckland, riesce a entrare al Wesley College, dove le sue straordinarie doti atletiche e tecniche cominciano a sbocciare: alto 196 centimetri per oltre 100 chili di peso, brucia i 100 metri in 10 secondi, abbinando a questo strapotere fisico un bagaglio tecnico enorme, mai visto in un giocatore così potente.
Entra da subito nella squadra del College, ne diventa capitano a 18 anni, e l’anno successivo ottiene una convocazione dalla nazionale neozelandese per i mondiali di rugby a sette, che li vede uscire vittoriosi.
Purtroppo, come una lampo che si mostra in tutta la sua bellezza, la fortuna è destinata a durare poco: già durante quel meraviglioso mondiale 1995, il fisico comincia ad abbandonarlo; i reni non funzionano come dovrebbero. La diagnosi? Una rara sindrome nefrosica, di proporzioni ancora ignote e inimmaginabili, i cui effetti cominceranno a manifestarsi un anno dopo e che lo terrà lontano dal campo di gioco per quasi un anno, e che, nel 2003 rischia di porre definitivamente fine alla sua carriera professionistica.
Ma, di diceva, questa è una storia di riscatto, di perseveranza e di coraggio.
Nel periodo più buio la palla ovale è uno spiraglio di luce, la motivazione che spinge Jonah a sconfiggere il più subdolo degli avversari.
Torna in campo da professionista, dopo aver rischiato di perdere l’uso di entrambe le gambe, e non importa che il livello espresso in campo non sia quello mostrato agli inizi della sua carriera, l’unica cosa che conta è poterne ammirare la forza d’animo e la voglia di non arrendersi mai, due caratteristiche che l’hanno accompagnato in ogni minuto della sua vita.
Consegnerà alla storia della nazionale neozelandese 63 presenze e 37 marcature, il record di marcature nella storia delle coppe del mondo (15 totali, prendendo parte a sole due edizioni), ma molto più importante, consegna la sua eredità allo sport e al mondo intero, non solo come giocatore, ma come uomo.
È il primo giocatore di rugby a diventare un’icona mondiale; un guerriero dentro e, soprattutto, fuori il campo di gioco, la cui leggenda non morirà mai.
“For me to get through the toughest periods in my life, I had to look within to find the energy to do it.
I don’t give up.
Never have.
Never will”.
Jonah Lomu
Di FEDERICO TRIVELLONE