UNBREAKABLES – EPISODIO 3

UNBREAKABLES – EPISODIO 3

GEORGE BEST, L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE

Le parole migliori per descrivere il gioiello di Belfast sono inconsapevolmente opera della penna di un altro genio visionario, anche lui ribelle e anticonformista per eccellenza, che risponde al nome di Fabrizio De André, quando narra del Suonatore Jones, descrivendolo come “lui che offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero, non al denaro, non all’amore, né al cielo”.

George Best fa dell’eccesso la sua istantanea: ogni cosa che fa, la spinge sempre al massimo, sia sul campo da gioco che al di fuori di esso.

Bob Bishop, un osservatore del Manchester United, lo vede giocare e immediatamente invia un telegramma a Matt Busby: “Ti ho trovato un genio”; ha soli 15 anni, e la sua prima esperienza durerà appena due giorni: sente la nostalgia di casa e decide di tornare in Irlanda del Nord.
Ovviamente, il matrimonio tra il gioiellino di Belfast e i Red Devils s’ha da fare, è scritto nel destino: come può una squadra con un soprannome simile non accogliere tra le sue fila, il giocatore che meglio incarna quella follia, quel modo istintivo e passionale di giocare? Basta aspettare due soli anni, infatti, per vederlo entrare nelle giovanili del club, e ancora altri due perché diventi un titolare inamovibile di una delle squadre più forti e iconiche del mondo.

Fisicamente esile e minuto, un grande handicap per il calcio molto fisico degli anni ‘60/’70, riesce a trasformare questo suo svantaggio in un punto di forza: sul campo è imprendibile, abbina una velocità di gambe e di pensiero extraterrestri a un equilibrio fuori dal normale; riesce a danzare attorno ai difensori, mantenendo sempre il pallone incollato al piede, cercando non di batterlo solamente, piuttosto di “impressionarlo a tal punto che non vorrà mai più vedermi”.

La consacrazione definitiva arriva presto, forse troppo per un carattere come il suo; nel pieno dell’ascesa calcistica è già convinto di essere più forte di tutti gli altri, è già un ribelle in tutto e per tutto.
La tendenza a portare tutto al limite non lo abbandona mai: tra belle donne, lusso e sfarzo sfrenati, una relazione decisamente troppo intima con lo champagne, vive una vita sempre più spericolata, sovversiva, sprezzante delle regole e di ogni buon senso.

Ma forse è proprio questo modo di essere che l’ha reso così unico e inimitabile anche dentro il terreno di gioco: non si è mai visto un giocatore approcciare l’arte del dribbling come lo fa “il quinto Beatles”, che sfida il suo avversario quando questi è a solo mezzo metro da lui, come non abbia paura del contrasto, ma che si diverta a sfidare la sorte, a sfidare la pazienza e la goffaggine dei suoi avversari.

A soli 22 vince, da protagonista, la Coppa dei Campioni, il più prestigioso torneo continentale per squadre di club, e viene eletto Pallone d’Oro.

Con queste premesse ci si potrebbe immaginare l’inizio di una grandissima storia, l’ascesa di un campione totale destinato a dominare i campi da gioco per decenni. Invece è solo l’inizio della fine: diventa sempre più irrequieto e intrattabile, quella sua vena autodistruttiva non sembra diminuire, anzi si allarga sempre di più, diventando un’arteria, impossibile da recidere.
L’alcool e le tante dipendenze acquisite in così giovane età hanno la meglio sul suo talento, così George, a soli 28 anni, si trova a vagabondare per il mondo in cerca di fortune sportive, che purtroppo non arriveranno mai.

Il suo “non morite come me” è forse il lascito più grande a livello morale, umano; è la richiesta, o forse la preghiera, di un uomo che ha incantato tutto il mondo con le sue magie palla al piede, nel non commettere l’errore più grande di tutti: lasciarsi incantare dal proprio talento, dalla fama e dal denaro, come Narciso, innamorato della sua stessa bellezza a tal punto da rimanerne ucciso.

Forse si è reso conto troppo tardi di aver avuto tutto troppo presto, ma è anche questo suo modo di essere che lo rende un personaggio così affascinante.

Il solo poter fantasticare su dove sarebbe potuto arrivare, se solo avesse avuto una testa diversa sulle spalle, è uno dei doni più belli che potesse lasciare in eredità agli appassionati di calcio, insieme alla leggendaria maglia che ha portato sulle spalle per 13 anni: la casacca numero 7 del Manchester United è diventata una delle maglie più iconiche della storia del calcio, indossata e desiderata da tantissimi altri fenomeni come Cantona, Beckham o Cristiano Ronaldo, vogliosi di ripercorrere le orme di colui che, per primo, l’ha resa grande.

“Maradona – good. Pelé – better. George – Best!”
George Best

 

 

Di FEDERICO TRIVELLONE



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