UN’INCLUSIONE LAVORATIVA POSSIBILE
Adattabilità, non inabilità
“Nessuno può essere libero se costretto a essere simile agli altri”, scriveva Oscar Wilde.
Ogni individuo è unico e porta con sé un mondo che lo rende speciale, diverso rispetto a ciò o a chi è “altro” da sé. La diversità è un valore, un’opportunità di crescita individuale, una risorsa preziosa da esaltare moralmente, socialmente, culturalmente ed economicamente.
Il concetto di lavoro si associa a quelli di creatività, produttività, autostima, realizzazione dei desideri e soddisfacimento dei bisogni.
Per questo, la sfida per una reale equità dovrebbe partire proprio dal mondo del lavoro.
Dal lavoro nascono rapporti sociali. Il lavoro è momento scambio e confronto. E’ l’arma più efficace per combattere la discriminazione culturale e sociale.
La disAbilità non sempre esclude la capacità lavorativa. Eppure in tanti sono costretti ad abbandonare prematuramente il proprio impiego.
Più di 2/3 delle persone con disAbilità perde il lavoro nei primi 15 anni dalla diagnosi, con una maggiore incidenza nei primi 5 anni.
La riduzione dell’attività lavorativa, quando non la perdita del lavoro, costituisce il fattore sul quale intervenire per far sì che il costo del disagio si riduca drasticamente.
Una strada è garantire trasparenza informativa sulle opportunità di recupero e integrazione e assicurare partecipazione consapevole ai processi.
Per il lavoratore disAbile, infatti, non mancano agevolazioni per il sostegno a livello occupazionale e reddituale, specie con riferimento a soglie di riduzione della capacità lavorativa di almeno il 45%. Per altro verso, benefici sono predisposti anche per le aziende che assumono lavoratori con disAbilità, per la crescita e la redistribuzione delle opportunità di lavoro.
Da un lato, collocamento mirato, riposi e congedi; dall’altro, aiuti reddituali quali pensione di invalidità, indennità di accompagnamento, prepensionamento o pensione di inabilità.
Il collocamento mirato consiste nel mettere a disposizione dell’interessato strumenti che consentano l’inserimento in un posto di lavoro adatto alle capacità psicofisiche, professionali, di apprendimento e relazionali. Dal collocamento mirato deriva il collocamento mirato obbligatorio, per le assunzioni obbligatorie di disabili in aziende con più di 15 dipendenti.
Dal lato delle imprese, sono previsti esoneri totali o parziali da questo obbligo in alcuni casi determinati, come verificatosi anche di recente con la sospensione dell’assunzione per tutta la durata degli interventi di integrazione salariali con causale Covid19. A tale riguardo, il Governo ha previsto, sul Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, uno stanziamento di circa 72 milioni di euro per il 2020 e 2021, aumentati a circa 77 milioni di euro per il 2022.
Dando ragionevole effettività al provvedimento, sarebbe possibile affidare un ruolo di cittadinanza attiva e produttiva a tantissimi lavoratori. Eppure il dato reale è sconfortante. Sono 145.000 i posti di lavoro scoperti, tra i riservati a disabilità. Il 33% di inadempienza è riconducibile alla p.a.
A livello territoriale il dato peggiore è quello registrato nel Mezzogiorno, con solo il 18,9% delle persone con disabilità occupate.
Il dato migliore è riferito al Centro Italia, con il 42,2%. Contro il 37,3% del Nord.
La spiegazione di questo risultato sta nel fatto che le persone disabili sono occupate in prevalenza nella p.a. Nel settore privato, l’agricoltura precede i servizi e l’industria. Inoltre si evidenzia che le persone con disabilità raramente ricoprono posizioni apicali.
Il lavoratore gode del diritto a un congedo retribuito di 30 giorni all’anno, dei quali usufruire in modo continuativo o frazionato, per cure mediche collegate al particolare tipo di disabilità, se si ha almeno il 50% di invalidità civile riconosciuto.
Il lavoratore disabile grave ha diritto, ai sensi della l. n. 104 del 1992, a due tipologie di permessi: riposi orari giornalieri di una o due ore a seconda dell’orario stabilito; tre giorni di permessi al mese (anche frazionabili in ore). Se il lavoratore necessita di un congedo speciale, per un evento non prevedibile o comunque particolare, che richiede la sua assenza dal luogo di lavoro, si può chiedere un permesso retribuito di tre giorni. Nel caso in cui, invece, ci sono dei gravi motivi personali o familiari che impediscono al lavoratore disabile di svolgere la sua attività, c’è il diritto di usufruire di un congedo non retribuito della durata massima di due anni (continuativi o frazionati) per tutta la vita lavorativa.
Altra importante agevolazione per il lavoratore con patologia oncologica o altra malattia cronico-degenerativa, è il diritto di chiedere che il proprio contratto di lavoro sia trasformato da full time in part time, salvo tornare successivamente a tempo pieno se le condizioni lo consentano. Può scegliere inoltre la sede di lavoro più vicina al suo domicilio e decidere di non essere trasferito senza il suo consenso.
Da un punto di vista contributivo, chi ha una percentuale di invalidità superiore al 74% ha diritto a una maggiorazione contributiva, valida per la pensione, di 2 mesi per ogni anno che ha lavorato, da quando gli è stata riconosciuta la percentuale, per un massimo di 5 anni.
Sempre sul fronte pensionistico, il lavoratore disabile ha diritto a ottenere la pensione anticipata, con 41 anni di contributi, a condizione che: abbia una disabilità di almeno il 74%, sia un lavoratore precoce (abbia cioè lavorato per almeno 12 mesi effettivi prima dei 19 anni di età, abbia maturato l’anzianità contributiva necessaria entro il 31/12/95).
Di là dal dettaglio delle misure già in atto, evidentemente in sè non sufficienti a garantire elevati livelli di inclusione lavorativa, s’impongono provvedimenti volti a facilitare “la costruzione di un progetto di vita della e con la persona diversamente abile”.
Per questo è fondamentale:
– realizzare una riforma seria e strutturata della gestione delle invalidità, con valutazione dell’effettiva diminuzione percentuale della capacità lavorativa, per incentivare, attraverso processi premiali basati su un reale principio di equità, l’assunzione di persone con disabilità;
– condurre una lotta efficace ai “falsi” casi di invalidità, per una migliore distribuzione dei benefici e per l’ottimizzazione delle risorse, contro una piaga sociale ed etica che condiziona i risultati tecnici di tenuta del sistema e trasforma uno strumento assolutamente corretto in un fenomeno “illegittimamente assistenzialistico”;
– superare, attraverso la diffusione di corretti strumenti di informazione, i limiti interni alle aziende stesse, tra cui la scarsa conoscenza delle patologie, soprattutto relative al disagio mentale, con conseguente impreparazione ad accogliere la persona;
– favorire, dunque, un maggiore supporto con azioni di reti di sostegno ed in tal caso l’apporto della rete territoriale va supportato maggiormente.
Riforme normative adeguate ai tempi e ai nuovi contesti lavorativi devono accompagnarsi a un’opportuna opera di sensibilizzazione. Soltanto per questa via è possibile operare interventi d’inclusione calibrati a equità. Per la riscoperta e la valorizzazione di meriti e talenti spesso inattesi e sottovalutati.
Di ANTONELLA GALARDO
Fonti
“Conoscere il mondo della disabilità: persone, relazioni e istituzioni” Rapporto Istat 2019
“L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia” Rapporto 2019 Fondazione studi Consulenti del lavoro
Fonti normative: “Legge quadro sull’handicap 104/92” e Legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro per disabili”