VIOLENZA IN TV
Dalla condanna alla riflessione
Vivace è il dibattito di questi giorni sulla serie tv ‘Squid game’ che, dopo aver battuto tutti i record di visione al mondo, veleggia ormai stabilmente nelle prime posizioni della classifica dei prodotti più visti. La trama è piuttosto semplice: un gruppo di persone con poche speranze, attratto da un ricco premio, accetta di partecipare a una serie di gare nelle quali è facile perdere la vita.
Come spesso accade, anche in questo caso si registrano casi di emulazione da parte di bambini, anche molto piccoli.
Oggi la riflessione merita di essere condotta con un approccio in grado di andare al di là del singolo fenomeno, per certo non isolato.
Oltre ogni aprioristica condanna, varrebbe interrogarsi piuttosto sulle ragioni del facile attecchire di modelli comportamentali contrari a ogni forma d’etica e di solidaristica convivenza.
Nella serie, è regola che, se la maggior parte del gruppo è d’accordo, il gioco si interrompe. E così accade. Eppure, una volta tornati alla vita di sempre, quasi tutti i protagonisti decidono di tornare indietro, attratti dal sogno di ricchezza.
Una allegoria sulla società moderna, nella quale i ricchi vivono il desiderio di diventare ancora più ricchi e i poveri sono posti nelle condizioni di tirare fuori il peggio di sé, un po’ perché non hanno niente da perdere e un po’ perché, riportati alla possibilità di riemergere, farebbero di tutto per non tornare alla condizione miserabile di partenza.
Noia. Abuso di potere. Brama di fortuna.
Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames!
I contenuti delle moderne serie tv sono indubbiamente molto forti, sia a livello iconografico che a livello di contenuti e questo stride con la tendenza recente del politically correct spinto all’estremo, che vorrebbe la censura di alcuni cartoni animati Disney al fine di non urtare la sensibilità degli adulti di domani.
Ma, paradossalmente, proprio qui si cela il loro successo, che mettono in luce le contraddizioni della società moderna, pronta a dismettere etica e giustizia sociale in nome di una competitività spietata in cui la pena per chi fallisce è l’emarginazione sociale.
Come ribaltare il piano degli effetti e trarre utilità da prodotti apparentemente nocivi?
Non v’è dubbio che i genitori abbiano il dovere e la possibilità di dosare, limitare e gestire l’esposizione dei figli ai contenuti dannosi divulgati su social media, tv, videogiochi, internet.
Ma è pur vero che vietare non sempre è la soluzione migliore, perché a volte vietare qualcosa è il modo migliore per renderla irresistibile.
In una società aperta e permeabile, poi, è sufficiente che un amico, un coetaneo o un compagno di giochi abbia visto la serie perché se ne parli.
Potrebbe essere invece l’occasione per meglio affrontare, sia in famiglia che nella scuola, tematiche complesse.
È corretto sostenere che l’importante è vincere ad ogni costo?
La logica della competizione feroce, del merito senza equità in cui vi deve necessariamente essere un ‘vincitore’ e uno ‘sconfitto’ quali ombre nasconde?
‘Homo homini lupus’ è espressione che sembra tagliata su misura per una società modellata sul gioco competitivo, ma questa scelta rappresenta davvero l’unica soluzione possibile? La vita può essere soltanto un gioco competitivo di tutti contro tutti oppure esiste un’alternativa?
È proprio vero che empatia, pietà, solidarietà, cortesia e garbo sono caratteristiche tipiche di chi è destinato a perdere o, forse, denotano altre qualità, meno apparenti, ma decisive nel corso della nostra vita?
Le neuroscienze insegnano che, fino a una certa età, i bambini non possiedono le competenze emotive-cognitive per rielaborare e integrare dentro di sé la complessità di alcune esperienze e, in questo contesto, l’esposizione a scene di nuda violenza crea un trauma nella mente e nel cuore del bambino. In questo contesto, l’esposizione smodata a prodotti violenti (siano essi video game o film) crea una sorta di assuefazione che porta a normalizzare comportamenti aggressivi, vessatori e cruenti.
Già nel 1999, Dave Grossman pubblicò un importante saggio dal chiaro titolo «Stop Teaching Our Kids To Kill. A Call to Action Against TV, Movie & Video Game Violence», in cui metteva in guardia la società moderna dai rischi di un’assuefazione alla violenza da parte dei giovanissimi. Sarebbe opportuno evitare di esporre bambini e ragazzi a contenuti violenti, ma se l’esposizione c’è stata è necessario intervenire per ridurne gli effetti dannosi. Questo può essere fatto con l’educazione, affrontando il tema della violenza e della sopraffazione in classe e stimolando un dibattito capace di attivare la capacità critica dei ragazzi allenandoli a pensare alle conseguenze delle proprie azioni ed a prendere buone decisioni di fronte ai piccoli e grandi dilemmi della loro età.
Proprio alcuni giorni fa, il Ministro dell’Istruzione ha voluto ringraziare i docenti italiani, in un videomessaggio pubblicato sui suoi canali social in occasione della Giornata mondiale degli insegnanti sostenendo che «Mai come in questo momento è risultato evidente come questa attività sia importante e cruciale, centrale nella vita del Paese. È importantissimo che tutto il Paese ridia attenzione ai nostri insegnanti di ogni ordine e grado. Un mondo di persone che si fa carico di un mondo di altre persone».
L’augurio è che veramente tutti gli insegnanti vogliano rendere concetti percepibili il merito e l’equità di modo che la società basata sulla rabbiosa competizione ceda il passo a una società basata sulla cooperazione e sulla valorizzazione delle diverse abilità.