VIOLENZA SULLE DONNE, PANDEMIA MONDIALE
Osservatorio
La violenza contro le donne rappresenta la peggior pandemia globale degli ultimi anni.
Su questo occorre rompere il silenzio. E parlare, per trovare una cura definitiva.
«La discriminazione di genere deve essere abolita in qualsiasi situazione, poiché la parità di dignità fra i sessi va considerata uno dei principi fondamentali di qualsiasi Paese civile». È il postulato riaffermato con forza nella Dichiarazione di Vienna del 1993, adottata da ben 171 Paesi partecipanti alla Conferenza mondiale sui diritti umani, e ribadito in ogni successivo atto della Comunità internazionale.
Purtroppo c’è ancora tanta strada da fare.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, una donna su tre nel mondo è stata vittima di violenze fisiche o sessuali dall’età di 15 anni e il 35% ha avuto esperienza di comportamenti controllanti da parte dei loro attuali o precedenti partner. Ogni settimana, circa 50 donne perdono la vita a causa di violenze domestiche nell’Unione europea, un trend che è aumentato durante le chiusure. Con le restrizioni, è inoltre diventato più difficile per le vittime ottenere aiuto.
La situazione è talmente allarmante che UN Women, l’ente delle Nazioni unite che si batte per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne, ha lanciato la campagna Shadow pandemic (‘la pandemia ombra’) per sensibilizzare sull’aumento della violenza domestica a livello globale.
Uno sguardo al Mondo conferma il dato disarmante.
In Africa, la violenza di genere è un problema che influisce sulla vita di milioni di donne, ragazze e bambine. Il fenomeno si manifesta in diverse forme: matrimoni precoci, violenza domestica, mutilazioni genitali femminili, delitti d’onore e tratta di esseri umani.
Per comprendere le origini del problema, è fondamentale riconoscere i dannosi stereotipi di genere radicati nelle società e nelle culture africane, come l’idea che le donne debbano sempre sottomettersi agli uomini o che un uomo che picchia la sua compagna lo fa sempre perché la ama. Una mentalità molto diffusa soprattutto in Madagascar, Mozambico, Sudafrica, Zambia e Zimbabwe. Ma non solo.
In tutto il continente africano sono molti gli ostacoli alla giustizia per le vittime sopravvissute alla violenza di genere. Tra questi spiccano una mancanza di fiducia nei sistemi giudiziari e la vittimizzazione secondaria che le donne spesso subiscono per mano della polizia e dei servizi sanitari quando tentano di denunciare le aggressioni.
È ora che i governi africani rafforzino le proprie istituzioni. La stessa forza di polizia è spesso accusata di respingere le denunce perché relative a questioni considerate familiari e non criminose.
Nell’Asia del Sud, la giustizia rimandata è giustizia negata.
Una società patriarcale unita a una cultura inflessibile e a tradizioni secolari fa sì che le donne dell’Asia del Sud siano subalterne agli uomini delle loro famiglie da tempo immemore. L’Asia del Sud ha il più alto tasso di matrimoni precoci al mondo; in questa regione il 46% delle ragazze sono già sposate prima dei 18 anni.
Le donne che denunciano violenze e maltrattamenti e cercano giustizia si ritrovano spesso ad affrontare processi giudiziari sfibranti che si protraggono anche per molti anni.
I delitti d’onore sono comuni in India; le donne vengono impunemente assassinate anche solo per aver contravvenuto alla scelta di matrimoni combinati.
Sconvolgono anche le immagini di donne uccise in Afghanistan per avere cercato di sfidare rigidi costumi sociali. Le storie di bambine rapite, violentate e assassinate in Pakistan coprono di vergogna l’umanità intera.
L’America Latina è la regione con il più alto tasso di violenze sessuali al mondo, secondo l’Undp (il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo). Inoltre, i dati delle Nazioni Unite evidenziano come in Argentina, Messico e Colombia la violenza domestica contro le donne sia aumentata drasticamente durante la pandemia, con picchi che raggiungono il 50%. In El Salvador, si è addirittura registrato un aumento del 70% delle denunce di violenza di genere.
Nella città di Riberalta, nell’Amazzonia boliviana, vicino al confine con il Brasile, la 31enne Maria (il cui cognome non viene divulgato per la sua protezione) fa parte di un gruppo di madri single, unitesi dopo avere lasciato i propri compagni, spesso i padri dei loro figli, a causa di violenze domestiche. «Questa è la regola e non l’eccezione qui», sottolinea.
Nel vicino Perù, un numero allarmante di ragazze e donne – quasi 12mila – sono scomparse lo scorso anno. E purtroppo la situazione nel Paese riflette quello che accade in tutta l’America Latina.
Nonostante il panorama desolante, c’è speranza; cresce il numero di donne che fa sentire la sua voce. La campagna ‘Ni una menos’ (‘non una di meno’) contro i femminicidi è nata in Argentina ma si è allargata in tutto il mondo, raggiungendo anche l’Italia.
Le battaglie in corso sono tante.
L’OIL combatte per promuovere opportunità per donne e uomini di ottenere un lavoro dignitoso in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità umana.
Lo stesso Comitato Europeo dei Diritti Sociali (CEDS), tanto nelle conclusioni formulate all’esito dei sui controlli annuali in ordine al rispetto della Carta da parte dagli Stati quanto attraverso le decisioni di merito sui reclami collettivi che gli vengono presentati, ha sistematicamente affermato come la semplice non applicazione di una disposizione discriminatoria non sia sufficiente perché uno Stato ottenga una dichiarazione di conformità del suo ordinamento e delle sue prassi alla Carta.
La Carta ha consacrato il divieto di discriminazione sulla base del sesso (art. 21) e la parità tra donne e uomini (art. 23) come diritti fondamentali di tutti gli individui, a prescindere quindi non solo dall’esercizio di un’attività economica, ma anche dall’appartenenza ad uno Stato membro.
Il diritto alla tutela contro la discriminazione per tutti gli individui costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dai Patti delle Nazioni Unite relativi ai diritti civili e politici e ai diritti economici e sociali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. L’impegno degli Stati membri in materia è stato formalizzato nel Patto europeo per l’uguaglianza di genere del Consiglio per il periodo 2011-2020.
La Giornata internazionale contro la violenza sulle donne è occasione per sensibilizzare e tornare sul problema anche in Italia.
La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Le discriminazioni soffocano opportunità, disperdono il talento necessario per il progresso economico e accentuano le tensioni sociali e le disuguaglianze.
La lotta alla discriminazione è parte essenziale della promozione della dignità.