ZES 4.0
Per una migliore qualità della vita
La diffusione della banda larga, ovvero la trasmissione e la ricezione dei dati ad una velocità di connessione superiore a 2Mbit/s, viene misurata come fattore di crescita di un Paese, in quanto capace di ridurre il problema del divario digitale.
Nell’ultimo biennio, il dilagare della pandemia ha evidenziato l’urgenza di portare avanti l’Agenda Connect 2030 dell’ITU (International Telecomunication Union) al fine di accelerare la trasformazione digitale a livello mondiale e non lasciare nessuno indietro.
Le telecomunicazioni hanno infatti trasformato, nel giro di breve tempo, il modo di vivere, di pensare e di interagire, introducendo concetti e modus operandi come ad esempio la DAD e lo smart working, che hanno rapidamente soppiantato i ritmi e le modalità di scansione di quelli che reputavano dei consueti percorsi formativi e lavorativi. Ai nostri giorni, accedere a internet non significa soltanto aver accesso a un incommensurabile bagaglio informativo, ma significa soprattutto non restare indietro rispetto ai compagni di scuola, possedere delle competenze considerate ormai essenziali sul mercato del lavoro e avere accesso ai servizi con maggiore rapidità e facilità.
Una prospettiva allettante che, però, si ritrova a fare i conti pure con l’altro lato della medaglia, costituito dal dato di fatto che il divario digitale sta tracciando un solco nell’acquisizione delle conoscenze, limitando la connessione con persone e opportunità e marginalizzando sempre più periferie, paesi e aree già svantaggiate.
L’accentuazione delle disuguaglianze economiche e sociali da parte del mondo digitale rende sempre più impellente porre imprese, istituzioni e individui nelle condizioni di saper trarne vantaggio in maniera consapevole.
Nel caso specifico dell’Italia, il quadro attuale, da cui risulta che il 60% delle famiglie non dispone di una rete internet e solo il 42% della popolazione possiede le competenze digitali di base, classificandosi 16 punti sotto la media europea, e con un divario tra Nord e Sud del Paese salito a 10 punti percentuali, delinea a chiare lettere l’urgenza di intervenire, con azioni mirate, sul gap tecnologico, ancora molto grave soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, ove occorre maggiormente valorizzare le connessioni reali, digitali e le interdipendenze tra i centri urbani ed i territori per scardinare fenomeni come la povertà, la disoccupazione, nonché l’isolamento, i ritardi e le inefficienze appesantiti dalle crisi economiche del 2008 e del 2011, e mai più risanati, in cui, specie i piccoli Comuni, sono stati lasciati da troppi anni di politiche disattente.
Con queste premesse, l’obiettivo di abbattere il digital divide si presenta senz’altro una sfida ambiziosa, dura e singolare, ma al contempo superabile facendo leva sul presupposto che il Recovery Plan italiano, approntato sulla base dei parametri fissati dai regolamenti europei, riporta una previsione che destina il 40% delle risorse territorializzabili specificamente al Sud del Paese, allo scopo di raggiungere un riequilibrio territoriale.
Le diverse linee di azione, tra loro sinergiche, già previste dal PNRR per coprire tutti gli snodi del percorso di ripresa, riconoscendo alla riduzione del digital divide ed allo sviluppo delle competenze ruolo di elementi fondamentali per una nuova forma di cittadinanza attiva ed una più inclusiva partecipazione democratica, tracciano, a tal fine, un buon punto di partenza. Ma la piena attuazione degli obiettivi impone interventi specifici e di ampio respiro.
In linea con quanto delineato nella missione n. 5 del PNRR per la parte dedicata alle infrastrutture sociali, e nell’ottica di una giusta attenzione nell’uso trasversale delle risorse del Recovery Plan, delle misure innovative complementari ad esse ed in grado di incidere sul digital divide rendendo stabile lo smart working soprattutto nei borghi e nei centri colpiti dallo spopolamento, un’opportunità può essere data dalle c.dd. ZES a vocazione tecnologica o ZES 4.0, intese a incentivare processi virtuosi di rigenerazione architettonica, nuove residenzialità e innovazione sociale con interventi mirati a colmare carenze di tipo strutturale e ad abbattere le barriere che ostacolano gli scambi.
Strutturate in distretti e parchi tecnologici, attraverso gli investimenti e gli incentivi correlati per l’organizzazione produttiva, il capitale umano, l’introduzione di nuovi beni, l’accesso a tutte le tecnologie e l’intensificazione della transizione digitale, le ZES 4.0 permetterebbero alle imprese locali, specie a quelle di piccole dimensioni, di avviare nuove relazioni con altri soggetti, ricercando nuovi partner, e di svolgere un ruolo centrale nei piani di ripresa economica mediante la promozione della cultura dell’innovazione e della competitività grazie ai vantaggi del commercio elettronico.
Nei borghi, inoltre, e nei territori a bassa densità abitativa, una ZES a vocazione tecnologica agevolerebbe il processo di distribuzione delle strutture ricettive con connessione di rete, di cui attualmente si registra ancora una percentuale molto scarsa.
Questo incentiverebbe gli spostamenti, favorirebbe l’arrivo di un maggior numero di visitatori ed accrescerebbe la percezione di trovarsi in luoghi ove si tende a migliorare la qualità della vita fornendo agevolazioni ed incentivi a cittadini ed imprese.
In tale ottica, ed in linea con il Protocollo d’Intesa sottoscritto il 13 maggio u.s. alla Farnesina tra il MAECI ed il Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale con le finalità di rafforzare le misure a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese del Mezzogiorno e per le politiche di coesione, davvero la Next Generation rappresenterebbe un’occasione per attenzionare le potenzialità dei piccoli Comuni e dei territori nell’uso delle risorse del PNRR e riallinearli alle sfide del Terzo Millennio, rendendo queste realtà effettivamente competitive.